Olivetti: una storia breve

Giu­sep­pe Silmo

Let­tu­ra bra­no ini­zia­le (p. 15)
Leg­ge Maria Tere­sa Vernaleone

A ogni bat­ti­to d’ali pri­ma­ve­ri­le, a ogni stor­mir di fron­de autun­na­li, unaltro dei gran­di pro­ta­go­ni­sti di que­sta sto­ria rag­giun­ge Camil­lo e Adria­no nell’empireo dei sogni.
Pri­ma, Dome­ni­co Seme­ra­ro, poi Fran­ce­sco Nova­ra, segui­to da Ren­zo Zor­zi, e poi anco­ra Mario Caglie­ris, Otto­ri­no Bel­tra­mi, Cor­ne­lia Lom­bar­do, Lucia­no Gal­li­no e poi, dal gran­de casta­gno di Mon­te Nava­le, 2 si è stac­ca­ta in un fred­do dicem­bre l’ultima foglia, Lau­ra Oli­vet­ti, figlia di Adria­no, da noi chia­ma­ta Lal­la, come la chia­ma­va­no il suo papa e la sua mam­ma.
Con Lei si chiu­de la gran­de saga olivettiana.
Pri­ma che, fra pochi bat­ti­ti d’ala, anch’io, sem­pli­ce por­ta­to­re d’acqua e quin­di libe­ro da con­di­zio­na­men­ti e reti­cen­ze, non pos­sa più espri­me­re lo stu­po­re per una sto­ria che mio padre ed io abbia­mo vis­su­to e che ormai appa­re inve­ro­si­mi­le, sem­pre più lon­ta­na e irri­pe­ti­bi­le, è ora che ripren­da la pen­na e scri­va que­sta Sto­ria, trop­po bre­ve, di un sogno.”
Cre­do che que­sto con­ve­gno sia l’occasione miglio­re per pre­sen­ta­re que­sto libro, di cui costi­tui­sce la natu­ra­le con­clu­sio­ne, pro­prio per quei ger­mi di futu­ro che contiene.
Innan­zi tut­to devo però rin­gra­zia­re Emi­lio Ren­zi, non solo per le paro­le det­te e quel­le scrit­te nel­la pre­fa­zio­ne al libro, ma soprat­tut­to per aver­ne capi­to lo spi­ri­to che lo ha ani­ma­to: quel­lo di con­tri­bui­re a ripor­ta­re all’attenzione di tut­ti que­sta sto­ria che è innan­zi­tut­to di eti­ca del lavo­ro, dove l’uomo è al cen­tro con le sue neces­si­tà mate­ria­li, uma­ne e culturali.
Tut­ta­via, non è un libro di sto­ria sul­la Oli­vet­ti, per­lo­me­no nel sen­so tra­di­zio­na­le. Una sto­ria com­ple­ta sul­la Oli­vet­ti, che disve­li insie­me a tut­ti gli aspet­ti, indu­stria­li, com­mer­cia­li e finan­zia­ri, anche quel­li socia­li, cul­tu­ra­li, del desi­gn e dell’architettura, e che spie­ghi quel pro­get­to di comu­ni­tà di Adria­no e il suo livel­lo di rea­liz­za­zio­ne, non è anco­ra sta­ta scrit­ta. La ten­ta­zio­ne, quin­di, di scri­ver­ne una, frut­to di una ricer­ca ampia e appro­fon­di­ta, era for­te, ma poi un moto irre­fre­na­bi­le dell’animo mi ha por­ta­to a quest’altro testo, sicu­ra­men­te meno ambi­zio­so, ma per me più autentico.
Negli anni, ormai in pen­sio­ne, veden­do gli sfor­zi e le fati­che del­le mie figlie per inse­rir­si nel mon­do del lavo­ro, e soprat­tut­to riflet­ten­do su quan­to mi dice­va­no: “Papà tu non capi­sci, tu sei vis­su­to in Oli­vet­ti, dove tut­to era diver­so”, ho inco­min­cia­to a rea­liz­za­re che quel­la espe­rien­za vis­su­ta dal­la nostra fami­glia, sep­pur in ambi­ti diver­si (io, qua­si sem­pre nel set­to­re com­mer­cia­le, mia moglie, nei ser­vi­zi per l’infanzia, le mie figlie frui­tri­ci dell’asilo, del­le colo­nie, e più tar­di del pull­man azien­da­le per Mila­no) non ave­va nul­la di nor­ma­le. Così, come per miglia­ia di altre famiglie.
Da que­sta pre­sa di coscien­za, di aver vis­su­to una real­tà uni­ca nel mon­doindu­stria­le e socia­le ita­lia­no, è nato in me lo stu­po­re per tut­to ciò che intor­noave­vo visto come la normalità.
A inco­min­cia­re dal­la bel­lez­za degli edi­fi­ci che han­no accom­pa­gna­to la
nostra vita: via Jer­vis, che qual­cu­no ha defi­ni­to “l’Atene degli anni Cin­quan­ta”, con la sua lun­ghis­si­ma pare­te in vetro che inon­da di luce natu­ra­le chi lavo­ra e lo met­te in comu­ni­ca­zio­ne con la ter­ra cana­ve­sa­na da cui pro­vie­ne, e anco­ra l’immaginifico edi­fi­cio dei Ser­vi­zi Socia­li, sul lato oppo­sto, aper­to all’accoglienza dei lavo­ra­to­ri e dei cit­ta­di­ni. Que­gli edi­fi­ci non li ave­vo mai visti così: non ci sono muri, né can­cel­la­te, tut­to è aper­to. E qui capi­sci che que­ste cose non nasco­no per caso, ma per un pre­ci­so pen­sie­ro poli­ti­co e socia­le: la fab­bri­ca è la casa del­la Comu­ni­tà, in una comu­ni­tà non ci sono barriere.
Que­sto è il libro di que­ste rifles­sio­ni e di que­sto stu­po­re. Una sto­ria scrit­ta con il sen­so dell’appartenenza a una gran­de fami­glia che con­di­vi­de gli stes­si valo­ri e vuo­le tra­met­ter­li alle gene­ra­zio­ni futu­re. Il libro è dedi­ca­to, infat­ti, a mio nipo­te Artu­ro, che ha com­piu­to cin­que anni a settembre.
Que­sto scrit­to por­ta mol­te testi­mo­nian­ze, tra cui due impor­tan­tis­si­me, che gli con­fe­ri­sco­no valo­re e for­za documentale.

 La pri­ma, quel­la di Mario Caglie­ris, l’uomo di fidu­cia di quat­tro pre­si­den­ti, che alla fine del­la sua vita ha volu­to con­fi­dar­mi la veri­tà su alcu­ni avve­ni­men­ti del­la cri­si del ’64, che spaz­za­no via faci­li e inte­res­sa­te ricostruzioni.

La secon­da, quel­la di Miche­le Cane­pa, respon­sa­bi­le del labo­ra­to­rio elet­tro­ni­co di New Canaan, non distan­te da New York, che rico­strui­sce la nasci­ta dell’elettronica Oli­vet­ti negli anni ’50, negli Sta­ti Uni­ti, che se non cen­su­ra­ta è sta­ta ignorata

.
Ma ci sono anche le testi­mo­nian­ze di per­so­ne che non han­no svol­to fun­zio­ni di così gran­de rilie­vo, che rac­con­ta­no le loro espe­rien­ze in un’azienda che di nor­ma­le rispet­to al mon­do indu­stria­le ita­lia­no ave­va ben poco, come quel­le del­le Spil­le d’Oro Lucia­no Ban­chel­li e Tere­sa Rol­la, che non sono più tra noi. Il perio­do coper­to dal libro va dal­la nasci­ta del­la Oli­vet­ti nel 1908 al 1978 ed è sud­di­vi­so in tre parti.
 La pri­ma, che pos­sia­mo chia­ma­re il perio­do del­la “For­ma­zio­ne”, comin­cia dal­la “fab­bri­ca di mat­to­ni ros­si” di Camil­lo Oli­vet­ti, per arri­va­re ai ter­ri­bi­li anni dell’occupazione tede­sca e alla nar­ra­zio­ne epi­ca di cosa sia­no sta­ti que­gli anni per l’Olivetti, dive­nu­ta cen­tro e moto­re di una comu­ni­tà for­te­men­te impe­gna­ta nel­la Resistenza.
 La secon­da, va dal pri­mis­si­mo dopo­guer­ra con il ritor­no di Adria­no dall’esilio in Sviz­ze­ra alla sua mor­te il 27 feb­bra­io 1960. È il perio­do “Clas­si­co” per il con­cen­tra­to di arte, cul­tu­ra e uma­ne­si­mo socia­le e indu­stria­le che si svi­lup­pò e dif­fu­se a Ivrea. In que­sta par­te si par­la anche di due set­to­ri d’Azienda ormai dimen­ti­ca­ti: il Cen­tro For­ma­zio­ne Mec­ca­ni­ci, da cui sono usci­ti cen­ti­na­ia di allie­vi di cui alcu­ni giun­ti alla diri­gen­za e la OMO (Offi­ci­na Mec­ca­ni­ca Oli­vet­ti) fon­da­ta da Camil­lo già nel 1926, pro­dut­tri­ce di mac­chi­ne uten­si­li sia per la Oli­vet­ti, sia per il mer­ca­to, dive­nu­ta poi Oli­vet­ti Con­trol­lo Nume­ri­co, un’al­tra gran­de occa­sio­ne perduta.
 La ter­za è il perio­do del­la “Con­ser­va­zio­ne”, in cui è avve­nu­ta la tra­sfor­ma­zio­ne da azien­da mec­ca­ni­ca a elettronica.
Mol­ti han­no fat­to ter­mi­na­re la Oli­vet­ti al 1960 con la mor­te di Adria­no, io cre­do che quei valo­ri e quel­la Oli­vet­ti abbia­no dato anco­ra una gran­de pro­va con il pas­sag­gio dal­la mec­ca­ni­ca all’elettronica, avve­nu­to con moda­li­tà che era­no il frut­to di un moni­to di Camil­lo ad Adria­no: “Non licen­zia­re”, che si era incar­na­to nel DNA azien­da­le. Un’operazione uni­ca nel suo gene­re nel mon­do indu­stria­le inter­na­zio­na­le, dove il pro­ble­ma è sta­to risol­to delo­ca­liz­zan­do gli impian­ti e attuan­do licen­zia­men­ti. In Oli­vet­ti le loca­liz­za­zio­ni sono rima­ste dove era­no e nes­su­no è sta­to licen­zia­to, nono­stan­te l’esubero di per­so­na­le dovu­to alle nuo­ve tecnologie.
Con il 1978, quan­do anche le mac­chi­ne per scri­ve­re diven­ta­no elet­tro­ni­che, supe­ran­do gli ulti­mi osta­co­li tec­no­lo­gi­ci che fino allo­ra lo ave­va­no impe­di­to, con la ET 101 la pri­ma mac­chi­na per scri­ve­re elet­tro­ni­ca al mon­do, l’operazione è conclusa.
La Sto­ria del­la Oli­vet­ti, la “Dit­ta” dei Fon­da­to­ri, fini­sce qui. Abbia­mo vis­su­to un sogno, non lo sapevamo.
Poi il DNA dell’azienda cam­bia, da indu­stria­le e soli­da­le, diven­ta finan­zia­rio. Da un lato, da una con­du­zio­ne indu­stria­le mira­ta alla pro­du­zio­ne e agli inve­sti­men­ti nel­la ricer­ca e svi­lup­po, si pas­sa alla loro pro­gres­si­va dimi­nu­zio­ne, favo­ren­do sem­pre di più il BUY (l’acquisto) anzi­ché il MAKE (il fab­bri­ca­re), ridu­cen­do così dra­sti­ca­men­te il valo­re aggiun­to dei prodotti.
Dall’altro, da una for­te inte­gra­zio­ne azien­da­le, con un comu­ne sen­ti­re e una for­te iden­ti­tà di squa­dra, si pas­sa all’esaltazione del risul­ta­to indi­vi­dua­le, con risul­ta­ti nega­ti­vi sul­la coe­sio­ne inter­na e sul risul­ta­to stes­so a medio e lun­go ter­mi­ne.
Così un’Azienda è scom­par­sa.

Giu­sep­pe Silmo 

dal sito nel Futuro