Umanità del 2013. Povera, sola e violenta. La crisi ha colpito duro, l’egoismo metodologico delle banche incatena e il prossimo, fisicamente vicino, troppo vicino, diventa un miraggio o un pericolo che attenta a un solipsismo patologico e autistico. Cosa rimane? Trincerarsi nel bunker di un individualismo debole, consegnarsi alle logiche dell’homo oeconomicus o trascendere la vita su face book, mentre la politica ha perso gli antichi legami con i sogni e non sa più scorgere la visione di un mondo migliore e possibile? Insomma, stiamo facendo evaporare tutte le particelle dorate degli chassid; Martin Buber ha predicato invano e l’uomo della strada non ha mai sentito parlare dell’economia del dono o del MAUSS di Parigi. Che fare? La vecchia domanda marxista si ripropone con la stessa cortina di angoscia di un secolo fa, quando l’impotente David di Cronin gridava la propria pena alle stelle, che stavano a guardare. Mai come oggi la civiltà occidentale si trova affamata di ricette e modelli per uscire dalla crisi profonda che l’etica di un capitalismo sfrenato e l’uso schizofrenico della tecnica hanno creato. L’era moderna, che secondo gli illuministi avrebbe portato a una condizione di prosperità mai vista prima, ha generato uomini-macchina asserviti al sistema, servi che nemmeno le società tradizionali avrebbero potuto creare; gli individui sono diventati numeri o utensili, riconosciuti solo per il grado di techné posseduta, e vivono nell’illusione di poter soddisfare la propria volontà di potenza, percepita senza limiti e sostanziale.
Mario Sammarone