Testimonianze di un Sogno — Testo di Davide Bombino prof. al liceo Gramsci di Ivrea.….Credere nell’uomo per essere testimoni di un “Sogno”.
“Strano scherzo del destino vedere oggi il futuro che vorremmo intrappolato nei luoghi della fabbrica Olivetti di ieri.”
Cosa succede quando uno di noi crede che l’uomo sia nato per avere relazioni, per essere una “persona”? Cosa succede quando una organizzazione nata per produrre, si trasforma in una “comunità”? E’ necessario cercare di rispondere a queste due domande per poter capire Adriano Olivetti, e spesso ho cercato di dirlo ai miei studenti, loro che passano indifferenti per via Jervis, tra le moderne architetture della fabbrica e il duro selciato della strada. Anche i miei occhi di profano, come i loro, si sono soffermati, per un lungo lasso di tempo, sulla limpidezza delle vetrate e hanno percorso gli stessi profili urbani senza però cogliere l’essenziale della via. Perché al di là della bellezza delle forme architettoniche c’è dell’altro, c’è ciò che resta d’un laboratorio sociale.
Come leggere quei vetri che riflettono il paesaggio? Come interpretare la
successione degli edifici vecchi e nuovi? Quando ti sei fatto queste domande sei pronto ad incontrare il sogno di Adriano.
Allora ti accorgi che quelle vetrate mettono in relazione chi lavora con il territorio dove è nato e dove ritorna alla sera. Capisci che quegli edifici sono il frutto della storia di una comunità che fatica, che cresce e si rinnova sempre, che gli uffici sono nati per servire l’uomo nei suoi bisogni. Già! Strano scherzo del destino vedere oggi il futuro che vorremmo intrappolato nei luoghi della fabbrica di ieri. Oggi che destini precari si incrociano con servizi scadenti, oggi che il lavoro pare inconciliabile con la cultura e la bellezza, oggi che l’istruzione non trova spesso riconoscimento, i miei giovani studenti riusciranno a ricordare tutto ciò? Così una tarda mattinata di ottobre mi ritrovo al Convento di San Bernardino, là dove tutto nacque, e, quasi d’istinto, osservo gli archi, i muri, i campi da tennis infine. Abbandonati, loro che hanno ospitato tante pause, tanti giochi, tanti scherzi dei dipendenti dell’Olivetti, sento che lì sarebbe facile raccontare quelle giornate limpide passate in allegria; allora penso che in fondo mi servono dei testimoni di quelle ore, di quel modo di lavorare, di vivere olivettianamente. Ho deciso: saranno loro, gli ex dipendenti Olivetti, a gettare un ponte tra il sogno di Adriano e i miei ragazzi del liceo, saranno le loro parole a fare memoria di quella azienda così eccezionale. Servirà a tutti raccogliere i frammenti di una esperienza di vita, di lavoro e trasmetterla a chi ne è ancora ignaro, come i giovani.
Da quel giorno di testimoni ne abbiamo ascoltati tanti a scuola, i più diversi, con quell’orgoglio olivettiano che sempre si ritrova quando si domanda loro cosa pensino veramente di quella fabbrica. Disponibilità e servizio alla persona, innovazione, internazionalità sono i tratti che affiorano dal bagaglio dei ricordi e un aggettivo colpisce me e i miei studenti: “speciale”. Sì, speciale lavorare in Olivetti, un solo aggettivo per definirla, perché lì in fondo si è cresciuti professionalmente, ma soprattutto umanamente.
Adriano pensava che credere nell’uomo fosse il miglior modo per innovare e per costruire una società più ricca materialmente e spiritualmente, ma grazie ai dipendenti Olivetti tutti noi abbiamo capito che credere nell’uomo è anche il modo migliore per essere testimoni di un sogno.
Grazie Olivetti
Davide Bombino