Un orefice di Magonza discendente da famiglia patrizia, Johann Gensfleisch zum Gutenberg, nato fra il 1394 e il 1399, cominciò a sperimentare un sistema di stampa verso il 1440, quando era esule politico a Strasburgo. Contemporaneamente anche altri ricercatori erano all’o-pera per trovare il modo di produrre uno « scritto artificiale » (così lo si chiamava allora) e rimangono i nomi di un orefice e di un illuminatore che ci si provarono e di tre città, Avignone, Bruges e Bologna, in cui erano in corso questi esperimenti. Il clima generale dell’epoca era senza dubbio propizio per l’invenzione di Gutenberg, che ritornò a Magonza tra il 1444 e il 1448 e verso il 1450 aveva perfezionato abbastanza la sua invenzione per poterla sfruttare commercialmente. Egli prese allora a prestito 800 monete d’oro da Johannes Fust, un avvocato di Magonza, il quale gliene anticipò altre 800 nel 1452 associandosi con lui per « la produzione di libri ». Nel 1455, però, il finanziatore esercitò sull’inventore il suo diritto di creditore non pagato: il grosso dei torchi e dei caratteri di Gutenberg andò a Peter Schbffer di Gernsheim, un dipendente di Fust che ne sposò piú tar-di la figlia (e la dote); un altro stampatore di cui non si conosce il nome ottenne una certa quantità di caratteri di qualità inferiore con cui stampò calendari, bolle papali, grammatiche latine, e simili. Quanto a Gutenberg, sembra che egli abbia salvato molto poco nel naufragio della sua fortuna: forse soltanto il carattere con cui ave-va stampato le Bibbie delle 42 e delle 36 linee, e il Catholicon.
Il Catholicon, compilato da Giovanni Balbi di Genova nel Duecento, merita menzione per tre motivi. In primo luogo il carattere con cui fu stampato, più piccolo di circa un terzo rispetto a quello della Bibbia delle 42 li-nee, è notevolmente più economico e segna un passo importante sia verso una produzione piú varia che verso la diminuzione del prezzo dei libri attraverso una scelta oculata del carattere. In secondo luogo, con la pubblicazione di una enciclopedia popolare come il Catholicon, Gutenberg indicò la via verso una delle mete piú impor-tanti dell’arte della stampa, cioè la diffusione della cultura. Infine è difficile credere che il colophon del libro possa essere stato scritto da altri che non sia l’inventore stesso della stampa. Esso ci offre perciò l’unica preziosa occasione di farci un’idea del modo di pensare di Gutenberg:
« Altissimi presidio cuius nutu infantium lingue fiunt diserte, Quique numerosepe paruulis reuelat quod sapientibus celat, Hic liber egregius ” Catholicon ” domi-nice incarnacionis annis Mcccclx Alma in urbe maguntina nacionis inclite germanice, Quam dei clemencia tam alto ingenij lumine, donoque gratuito, ceteris terrarum nacionibus preferre illustrareque dignatus est. Non calami stili aut penne suffragio, sed mira patronarum formarumque concordia proporcione et modulo, impressus atque confectus est. Hinc tibi sancte pater nato cum flamine sacro. Laus et honor trino tribuatur et uno Ecclesie laude libro hoc catholice plaude Qui laudare piam semper non linque mariam. DEO GRACIAS »’.
Sembra che dopo il 1460 Gutenberg abbia abbandona-to la stampa, forse perché colpito da cecità; altre perdite egli sofferse nel sacco di Magonza del 1462, ma ricevette, tre anni piú tardi, una specie di pensione dall’arcivescovo. Mori il 3 febbraio 1468 e fu sepolto nella chiesa francescana, demolita poi nel 1742. Un parente umanista dedicò piú tardi un epitaffio « all’immortale memoria di Johannes Gensfleisch, l’inventore dell’arte della stampa, che ha benemeritato di ogni lingua e nazione ».
Solo una delle opere piú importanti può essere considerata con sicurezza prodotto della bottega di Gutenberg: la Bibbia delle 42 linee, composta a partire dal 1452 e uscita prima dell’agosto 1456. Non v’è dubbio inoltre circa la superiorità di Peter Schòffer su Gutenberg sia come disegnatore e fonditore di caratteri, sia come stampatore: la qualità del suo lavoro fu ammenda per i poco chiari maneggi che lo portarono a raccogliere là dove non aveva seminato.
L’efficienza tecnica raggiunta da Gutenberg dopo lo stadio sperimentale di cui nulla sappiamo è forse il suo piú grande diritto alla fama, in quanto essa non fu materialmente superata fino all’inizio del secolo xix: per più di tre secoli l’incisione dei punzoni, la battitura delle matrici, la fusione dei caratteri, la composizione e la stampa rimasero, in linea di principio, allo stesso livello tecnico. Qualche notevole miglioramento era contenuto nel torchio di Leonardo da Vinci, ma esso rimase allo stato di progetto e non ne fu mai tentata la realizzazione pratica. La sola innovazione di qualche importanza venne nel 1620 dall’Olanda, dove Willem Janszoon Blaeu aveva leggermente aumentato la superficie utile e l’efficienza del torchio a leva e vite: nessun operaio di Gutenberg o di Schòffer avrebbe però incontrato difficoltà nell’usarlo, e oltre tutto non ebbe mai grande diffusione. Fino alla fine del Settecento il torchio comune fu quello originario progettato da Gutenberg.
Per nove lettori su dieci l’espressione « Gutenberg inventò la stampa » è un’abbreviazione dell’altra « Gutenberg inventò la stampa dei libri ». L’inevitabile associazione del nome di Gutenberg alla Bibbia delle 42 linee tende a radicare questo errore. Ma non è stata certo – o almeno non principalmente – la produzione meccanica dei libri a fare dell’invenzione di Gutenberg una pietra miliare nella storia della civiltà.
Si stamparono libri prima di Gutenberg e non c’era ragione per cui la stampa silografica, o a mezzo di lastre di metallo incise, disegni o fotografie su pietra, o altri mezzi, non dovesse continuare con sempre maggiori perfezionamenti, come infatti accadde: i libri « stampati » da William Blake e la fotocomposizione sono tipici esempi di stampa senza caratteri mobili. Quel che fece epoca nell’invenzione di Gutenberg fu la possibilità di rivedere e correggere un testo assolutamente identico in ogni « co-pia »: in altre parole la possibilità di un’edizione uniforme preceduta dalla correzione critica delle bozze. Quest’identità di tutti gli esemplari di ogni singola edizione si estende perfino agli errori di stampa, i quali, pertanto, possono essere identificati come autentici errata.
Inoltre l’uso dei caratteri mobili e il loro impiego nelle edizioni a stampa non rivoluzionò la produzione dei libri, dal momento che agli inizi i libri stampati si distinguevano appena dai manoscritti e il frontespizio rimase virtualmente la sola aggiunta degli stampatori ai prodotti degli amanuensi: novità cui gli amanuensi stessi, prima o poi, sarebbero giunti da soli, come fece Vespasiano da Bisticci. Il cambiamento apportato da Gutenberg nell’aspetto esteriore delle cose da leggere, nel senso piú vasto della parola, fu un mutamento in due sfere completamente diverse.
Facendo precedere e poi affiancando alla grande avventura della stampa di un libro l’edizione di indulgenze, calendari e opuscoli su argomenti d’interesse effimero, i prototipografi crearono quel che oggi vien chiamato lo « stampato commerciale », e con esso Gutenberg e Fust posero le basi della moderna pubblicistica a stampa, che e legata alla produzione di grandi quantità di singole let-tere identiche liberamente accostabili in una varietà pressoché infinita di combinazioni: proprio la caratteristica dell’invenzione di Gutenberg.
Nello stesso tempo, rendendo possibile l’immissione sul mercato di un grande numero di copie identiche di uno stesso testo in un qualsiasi momento prestabilito, Gutenberg previde la possibilità di aumentare sempre più il numero di copie riducendo contemporaneamente il tempo necessario a produrle. Una volta stabilito il principio, l’evoluzione dell’edizione di diecimila indulgenze identiche al mese nell’edizione di un milione di giornali uguali nel giro di poche ore diventava un problema di progresso tecnico. Gutenberg può cosi essere proclamato il progenitore della stampa periodica.
Ancora: mentre è facile dire che « Gutenberg inventò la stampa », occorre invece un lungo discorso per spie-gare in che cosa consistesse questa sua « invenzione ». Per circa duecentocinquant’anni, e cioè fino al tempo dei « Mechanick Exercises » di Moxon, i riferimenti lette-rari al « mistero » sono vaghi e ambigui e le rappresentazioni degli stampatori al lavoro piuttosto pittoriche che tecniche. I prodotti del torchio di Gutenberg sono per-ciò le sole fonti tangibili da cui si possa dedurre il pro-cedimento da lui usato per stamparli.
Al fine di chiarire alcuni equivoci assai comuni, sarà forse meglio procedere ora con una serie di negazioni.
Non fu Gutenberg il primo a capire la necessità, e le possibilità, di una produzione di stampati su vasta scala. Al contrario, la sua invenzione fu grandemente favorita dal fatto che la moltiplicazione delle opere letterarie non era solo una necessità generale, ma anche, verso la metà del Quattrocento, un’attività commerciale riconosciuta e lucrativa: gli amanuensi provvedevano a soddisfare sia le richieste del ricco collezionista di manoscritti d’autori classici sia le necessità dello studente povero cui occorrevano i manuali di legge e teologia. Il libraio fiorentino Vespasiano da Bisticci giunse ad impiegare contemporaneamente fino a cinquanta amanuensi; e nelle città sedi di università, tra cui la piú importante era Parigi, i copisti di libri di cultura erano abbastanza numerosi da poter formare delle corporazioni. La congregazione religiosa dei Fratelli della vita comune di Deventer si specializzò nella copiatura dei libri di filosofia e teologia, e ne fece vasto commercio in tutta l’Europa settentrionale. Die-bold Lauber diresse a Hagenau, in Alsazia, un vero e proprio « stabilimento », in cui, alla maniera degli editori di tempi piú moderni, egli produceva libri per il libero commercio: sua specialità era la « letteratura amena », di cui aumentava l’attrattiva agli occhi del popolo corredandola di illustrazioni, benché esse non fossero altro che meccaniche ripetizioni.
Non fu un’invenzione nuova neppure la stampa da una matrice in rilievo incisa a rovesciò. L’avevano praticata i cinesi per circa mille anni (la data leggendaria dell’invenzione sarebbe il 594 d. C.), e il loro sistema di ricavare l’impressione soffregando un foglio di carta contro una tavoletta di legno incisa a rovescio e preventiva-mente inchiostrata si era trasmesso all’Occidente attraverso le vie carovaniere: ai tempi di Gutenberg libri e stampe silografiche erano ben noti.
Anche l’invenzione della carta, che doveva rivelarsi il supporto ideale per la stampa, venne dalla Cina. È vero che, di tanto in tanto, si usava e si usa ancora per certi stampati di lusso la pergamena, ma la carta ebbe e ha su di essa il vantaggio della disponibilità virtualmente illimitata, che permette la produzione in massa caratteristica della stampa.
Gutenberg si rifece a realizzazioni precedenti anche quando attuò la sostituzione del legno con il metallo e della pagina silografica con la lettera singola. Anzi, da questo punto di vista egli non si scostò dalla tradizione del suo mestiere di orefice, poiché gli orefici – e in genere gli artigiani che si dedicavano a specializzazioni similari – avevano sempre inciso punzoni per i loro marchi di fabbrica e per le lettere con cui imprimevano iscrizioni su tazze, campanelli, e altri oggetti metallici.