(…) La conoscenza sicura, istantanea e praticamente illimitata dei dati, l’immediata elaborazione degli stessi, la verifica delle più varie e complesse ipotesi, consentono oggi di raggiungere obiettivi teorici e pratici che fino a ieri sarebbe stato assurdo proporsi, e di dirigere e reggere con visione netta le attività più diverse.
In questo senso la creazione del calcolatore Elea, e la sua produzione realizzata industrialmente dalla nostra Società nella sezione di Borgolombardo, alla periferia di questa metropoli, ci sembra possano recare un contributo reale non soltanto allo sviluppo del paese, ma al suo immancabile progresso sociale e umano. Per questo ho osato affermare in principio che la data odierna si riveste di un particolare significato. Con la realizzazione dell’Elea, la nostra Società non estende semplicemente la sua tradizionale produzione a un nuovo settore di vastissime possibilità, ma tocca una meta in cui direttamente si invera quello che penso sia l’inalienabile, più alto fine che un’industria deve porsi di operare, cioè, non soltanto per l’affermazione dle proprio nome e del proprio lavoro, ma per il progresso comune — economico, sociale, etico — della intera collettività. E’ quasi naturale conseguenza di tale convincimento la decisione di porre questo primo centro di calcolo elettronico a completa disposizione degli istituti universitari che vorranno servirsene ai fini di ricerca e sperimentazione. Ed è con particolare piacere che possiamo annunciare che già il Politecnico di Milano ha aderito all’invito. La solennità della giornata odierna corona lo sforzo di quanti nei nostri uffici, studi e nelle nostre officine hanno contribuito, in un clima di intelligente e concorde operosità, alla realizzazione di questa macchina: una macchina seppure tanto diversa dalle altre che la nostra industria ha prodotto nella sua semisecolare esistenza, è come quelle create dall’uomo per servire l’uomo, per liberarlo, col frutto della sua stessa fatica, dall’antica fatica di alcune più dure e inerti prove, per dargli altro canto d’affermare la sua vocazione di costruttore: per suscitare infine — con strumenti e obiettivi nuovi — nuove, più degne e suggestive possibilità di lavoro. Dobbiamo ora proseguire su questo cammino, non agevole — certo — ma che si illumina in una prospettiva grandiosa, impegnandoci su un più vasto fronte morale e materiale, in una più vasta integralità di motivazione e di intenti. (…)
Tratto dal discorso di Adriano Olivetti pronunciato l’8 novembre 1959 in occasione della presentazione del calcolatore Olivetti Elea 9003, in Il mondo che nasce, Edizioni di Comunità, 2013
Normalizzare l’innovazione. Le vicende dell’elettronica e dell’informatica da Adriano a Roberto Olivetti è il titolo del settimo capitolo del volume “Il regno di Proteo. Ingegneria e scienze umane nel percorso di Adriano Olivetti” di Giuliana Gemelli, novità 2014 della casa editrice Bononia University Press.
Il volume contiene una raccolta di saggi dedicata a percorsi che, intrecciandosi col cammino di Adriano Olivetti, hanno creato cantieri di ricerca e di innovazione in diversi contesti istituzionali, inerenti l’impresa, le università, i Politecnici, la società civile.
Ci è parso così necessario chiedere all’autrice, che peraltro siede nel Comitato Direttivo del nostro Centro Studi dal 1998, l’autorizzazione a pubblicare questo estratto nella nostra Collana Intangibili, per mettere a disposizione, di quanti vorranno approfondire, uno strumento iniziale per comprendere meglio una fase della storia industriale del Novecento, ancora molto discussa.
La morte di Adriano Olivetti nel 1960 ha determinato gravi ripercussioni nella gestione dell’azienda. Dopo i consistenti investimenti della Olivetti nelle ricerche sull’elettronica con i laboratori di Pisa e Borgolombardo, il 1960 segna una profonda trasformazione che nei decenni successi ha portato l’azienda a oscillare tra straordinarie opportunità e occasioni mancate.
In questo volume si ripercorre il delicato passaggio dalla meccanica all’elettronica anche attraverso le memorie e i documenti lasciati da Roberto Olivetti e conservati negli archivi della Fondazione Adriano Olivetti, che sorprendentemente rivelano i prodromi dell’attuale Società dell’Informazione.
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