MIO PADRE ADRIANO OLIVETTI.

DAL LIBRO TESTIMONIANZE DI UN SOGNO EX DIPENDENTI OLIVETTI
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di Lau­ra Olivetti 
 
I miei pri­mi ricor­di sono lega­ti più a sen­sa­zio­ni che a fat­ti, sono più emo­ti­vi che obiet­ti­vi. Per me bam­bi­na che vive­va ad Ivrea negli anni 50, la Oli­vet­ti era «Dit­ta» ed in «Dit­ta» lavo­ra­va mio padre Adria­no che era l’In­ge­gne­re. Ave­vo ben chia­ro che non fos­se un dipen­den­te qua­lun­que, ma la cosa non mi inte­res­sa­va mi incu­rio­si­va, sem­mai in alcu­ne situa­zio­ni mi imba­raz­za­va. Ricor­do che una vol­ta fece visi­ta alla scuo­la che fre­quen­ta­vo e ven­ne nel­la mia clas­se. Ricor­do bene quel momen­to per­ché men­tre dice­va sor­ri­den­do «Qui c’è una bim­ba che cono­sco mol­to bene» io avrei volu­to spro­fon­da­re sot­to ter­ra. Vole­vo infon­do, come tut­ti i bam­bi­ni, sen­tir­mi ugua­le agli altri. I ricor­di più bel­li lega­ti a mio padre e alla «Dit­ta» sono le pas­seg­gia­te da casa nostra ai suoi uffi­ci, il saba­to e la dome­ni­ca, quan­do mi chie­de­va di accom­pa­gnar­lo per far­gli com­pa­gnia duran­te il lavoro.
Ricor­do la fab­bri­ca silen­zio­sa, le pas­seg­gia­te nel­le offi­ci­ne vuo­te in cui mi col­pi­vo­no lun­ghe file di mac­chi­ne per scri­ve­re appe­se ai nastri por­tan­ti e le gran­di fine­stre che guar­da­va­no da un lato le mon­ta­gne e dal­l’al­tro la col­li­na di Mon­te Navale. 
La fab­bri­ca era per me un’en­ti­tà pre­sen­te nel­la vita del­la mia fami­glia, dei miei ami­ci, del­la mia cit­tà. Era quel­lo che face­va muo­ve­re tut­to, era al cen­tro del pen­sie­ro e dei discor­si fat­ti in casa. Era par­te del­la fami­glia, inte­sa vera­men­te come una «per­so­na» di fami­glia, non un’al­tra cosa. C’e­ra. Non pote­va non esser­ci. Per cer­ti ver­si anche mio padre era, per me, iden­ti­fi­ca­to con la «Dit­ta».
Poi c’e­ra il padre, papà, del qua­le ho dei ricor­di, ma sono per­so­na­li come lo sono per altri, quel­li del­l’A­dria­no fra­tel­lo, zio, non­no… per­ché era anche tut­to que­sto e lo era in manie­ra sem­pli­ce. Si dice­va di lui che pote­va ave­re occhi geli­di, io non ne ho memo­ria, ma cre­do che potes­se­ro diven­tar­lo quan­do sen­ti­va di esse­re tra­di­to o se teme­va una men­zo­gna. La men­zo­gna era per lui intol­le­ra­bi­le e cer­ta­men­te era que­sto un aspet­to che gli pro­ve­ni­va dal­le sue ori­gi­ni pro­te­stan­ti val­de­si. Ho rice­vu­to da mio padre una uni­ca puni­zio­ne, non guar­da­re la TV per una set­ti­ma­na, per­ché ave­vo det­to una bugia. Ricor­do que­sta sce­na come se fos­se ieri.….….. Poi
Adria­no è morto.
Lau­ra Oli­vet­ti — (La Stam­pa 24-10-2008)