Ada Merini e la sua macchina da scrivere

Accad­de oggi nel mon­do del­le mac­chi­ne per scrivere
 
21 Mar­zo
Gior­na­ta Mon­dia­le del­la Poe­sia e
ricor­ren­za del com­plean­no di Alda Merini
Sono nata il ven­tu­no a primavera
ma non sape­vo che nasce­re folle,
apri­re le zolle
potes­se sca­te­nar tempesta.
Così Pro­ser­pi­na lieve
vede pio­ve­re sul­le erbe,
sui gros­si fru­men­ti gentili
e pian­ge sem­pre la sera.
For­se è la sua preghiera.
 
Alda Meri­ni è nata il 21 mar­zo 1931, da una fami­glia mode­sta e nono­stan­te que­sto si è fat­ta stra­da nel mon­do del­la let­te­ra­tu­ra tan­to da diven­ta­re una del­le voci più impor­tan­ti del­la poe­sia con­tem­po­ra­nea. Una del­le poe­tes­se e scrit­tri­ci ita­lia­ne più talen­tuo­se e tor­men­ta­te che l’Italia pos­sa vantare.
Nel­la casa museo dedi­ca­ta alla scrit­tri­ce, su una scri­va­nia è posi­zio­na­ta la sua mac­chi­na per scri­ve­re, alquan­to data­ta e rega­lo di Giu­lia­no Grit­ti­ni, il suo foto­gra­fo per­so­na­le non­ché ami­co. Tan­te “per­le poe­ti­che” sono sta­te gene­ra­te da quel­la mac­chi­na per scri­ve­re, una Invic­ta por­ta­ti­le pro­dot­ta a Torino.
Mol­te poe­sie si pos­so­no far risa­li­re al perio­do in cui la scrit­tri­ce fre­quen­ta­va il caf­fè-libre­ria “Chi­me­ra” sul Navi­glio e, come scri­ve Lau­ra Alun­no, “por­ta­va con sé fogli dat­ti­lo­scrit­ti che rega­la­va agli avven­to­ri, fogli coper­ti di carat­te­ri alter­ni, sfuo­ca­ti e tur­chi­ni per­ché la sua mac­chi­na per scri­ve­re era sen­za nastro e Alda Meri­ni bat­te­va i tasti diret­ta­men­te sul­la car­ta carbone”.
Nel­la sua vita uti­liz­zò diver­se mac­chi­ne per scri­ve­re Oli­vet­ti tra cui una Linea 88, una Let­te­ra 25, una Dia­spron 82, una Let­te­ra 22 e una Let­te­ra 32
Ad un cer­to pun­to però dovet­te smet­te­re del tut­to di usa­re la mac­chi­na per scri­ve­re a cau­sa del­le pro­te­ste del­la vici­na di casa che lamen­ta­va il con­ti­nuo tic­chet­tio not­tur­no. “Noi poe­ti — dichia­ra­va la Meri­ni — lavo­ria­mo di not­te, i poe­ti lavo­ra­no nel buio come fal­chi not­tur­ni od usi­gno­li dal dol­cis­si­mo canto”