Adriano Olivetti: “Era attratto dal loro fatale senso dell’ironia, forse annodato stretto a quello dell’avventura, e dal coraggio di chi, per tradizione, veniva definito scansafatiche o terrone, per non dire di peggio. Aveva deciso di aprire una fabbrica Olivetti a Pozzuoli e la sua gioia era incontenibile.
“Si era innamorato dei napoletani, degli operai, dei camerieri, dei tassisti, dei vetturini, e guardava, come se non li avesse mai visti, anche i cavalli dei calessi o delle carrozze che andavano avanti e indietro portando persone, verdure, pacchi, come se il tempo non si fosse mai fermato per chi sosteneva che non bisognava mai affrettarsi.
“Di tutta quella gente napoletana che, forse battendo un po’ la fiacca, faceva il proprio mestiere in modo esemplare: con aggiunta, del tutto inedita, dell’umorismo e della fatalità. […] Per Lui non era così importante che un operaio si spremesse tutte quelle ore, poteva anche lavorare un po’meno, l’importante era che non si deprimesse per quello che gli toccava fare.“ Giorgio Soavi (articolo di Vergallo, tratto dall’Acropoli).
Per risollevarsi dai problemi il napoletano usa il “sorriso e l’ironia” traendone la forza necessaria per reagire. Ebbene, dopo appena un anno dall’avvio del lavoro nella fabbrica di Pozzuoli, la produzione era alquanto superiore a quella di Ivrea. Adriano sa che è l’amore scambievole a salvare il mondo.