Adriano Olivetti profeta inascoltato

A ven­t’an­ni dal­la mor­te del gran­de sognatore 

di Filip­po Ivaldi

Adria­no Oli­vet­tl fu stron­ca­to da un col­las­so il 27 feb­bra­io 1960 men­tre viag­gia­va in tre­no In ter­ri­to­rio sviz­ze­ro. Ave­va ses­san­t’an­ni. La sua ‑Comu­ni­tà- ave­va ormai esau­ri­to la paren­te­si del­le spe­ri­men­ta­zio­ni che si era­no tra­dot­te nel cor­so degli Anni 50. Ut una sin­go­la­re avven­tu­ra- cul­tu­ra­le, socia­le e poli­ti­ca soprat­tut­to nel­l’am­bi­to del Cana­ve­se accen­den­do spe­ran­ze e riser­ve, entu­sia­smi e scet­ti­ci­smi. Que­sti ulti­mi sot­to­li­nea­va­no il carat­te­re uto­pi­sti­co del Movi­men­to. Ema­na­zio­ne diret­ta di un uomo che, come ebbe poi a scri­ve­re Ugo La Mal­fa  non era tra gli espo­nen­ti di alcu­na cul­tu­ra  tura uffi­cia­le , non era uomo di cor­ren­ti non era lega­to ad alcun ambien­te  pre­co­sti­tui­to. Ma egli non teme­va l’utopia, ed era un uto­pi­sta nel­la stes­sa misu­ra In cui lo sono i veri realizzatori

Que­ste carat­te­ri­sti­che ne ave­va­no fat­to, come osser­vò Aldo Moro. ‑un soli­ta­rio ma la sua era una soli­tu­di­ne che reca­va l’im­pron­ta tipi­ca degli inge­gni ecce­zio­na­li e del­le per­so­na­li­tà com­ples­se dove l’in­tui­zio­ne anti­ci­pa­tri­ce sop­pian­ta spes­se vol­te la medio­cri­tà con­tin­gen­te e sca­val­ca gli sche­ma­ti­smi di maniera. •

Ades­so mol­ti rico­no­sco­no che fu, un anti­ci­pa­to­re di idee e un pro­fe­ta ina­scol­ta­to. Espres­sio­ni come pia­ni­fi­ca­zio­ne, oppu­re come cit­tà a misu­ra d’uo­mo sono entra­te nel lin­guag­gio cor­ren­te e sono al cen­tro di gran­di dibat­ti­ti. Ma quan­do Adria­no Oli­vet­ti ne face­va uno stru­men­to di com­por­ta­men­to pra­ti­co buo­na par­te del mon­do poli­ti­co e cul­tu­ra­le ita­lia­no cam­mi­na­va per una stra­da che avreb­be con­dot­to alle disu­ma­ne con­cen­tra­zio­ni urba­ne e all’ag­gres­sio­ne sel­vag­gia del ter­ri­to­rio da par­te di una spe­cu­la­zio­ne incontrollata.

Dei resto men­tre par­la­va di pia­ni­fi­ca­zio­ne. Oli­vet­ti agi­va di con­se­guen­za, non solo sti­mo­lan­do stu­di urba­ni­sti­ci di avan­guar­dia (fu il pri­mo a fare redi­ge­re un orga­ni­co pia­no rego­la­to­re del­la Val­le di Aosta) ma anche pro­ce­den­do ad un effet­ti­vo decen­tra­men­to Indu­stria­le in base al con­cet­to secon­do cui biso­gna por­ta­re la fab­bri­ca all’uo­mo e non vice­ver­sa. Dice­va: II gio­va­ne con­ta­di­no che abban­do­na anco­ra oggi la mon­ta­gna e i vil­lag­gi anche nel Nord, nell’alto  Pie­mon­te nel­le val­li lom­bar­de, nel Vene­to per cer­ca­re nel­le cit­tà affol­la­te una nuo­va vita con meno mise­ria e qual­che luce spi­ri­tua­le è mos­so da una spin­ta inevitabile..

La sua era dun­que una teo­ria che si cala­va nel­la real­tà socia­le ed eco­no­mi­ca pro­prio nel perio­do più tumul­tuo­so del­lo svi­lup­po del nostro Pae­se, quel­lo che vede­va le impo­nen­ti migra­zio­ni dal Sud al Nord. E cosi face­va un espe­ri­men­to uni­co nel suo gene­re, con ‘instal­la­zio­ne di pic­co­li sta­bi­li­men­ti nel­le val­la­te cana­ve­sa­ne dove la fab­bri­ca diven­ta­va allea­ta e ami­ca del lavo­ra­to­re che pote­va rima­ne­re aggrap­pa­to alla sua ter­ra e qui con­ti­nua­re a col­ti­va­re le sue tra­di­zio­ni pur nel riscat­to del­le seco­la­ri miserie.

-Quel­lo che abbia­mo fat­to in tre anni — scri­ve­va nel 1955 — è una con­cre­ta espe­rien­za sul modo di trat­ta­re il pro­ble­ma del­le aree depres­se, che è il pro­ble­ma del Sud del­le val­li alpi­ne e del­le isole».

Accan­to alla pre­mi­nen­te impor­tan­za del lavo­ro si pone­va però l’e­si­gen­za del­la pia­ni­fi­ca­zio­ne urba­ni­sti­ca da attuar­si attra­ver­so i pia­ni inter­co­mu­na­li che ave­va­no il com­pi­to di esal­ta­re e valo­riz­za­re le aspi­ra­zio­ni e le esi­gen­ze demo­cra­ti­che di base. Si trat­ta­va di un’an­ti­ci­pa­zio­ne pra­ti­ca di quel­li che oggi sono i Com­pren­so­ri e i Comi­ta­ti di quar­tie­re orga­ni­smi che sor­ti pur­trop­po dopo i gra­vi gua­sti ambien­ta­li che si sono pro­dot­ti in que­sti ulti­mi due decen­ni dovreb­be­ro ora ado­pe­rar­si per rido­na­re alle cit­tà e ai pae­si le dimen­sio­ni per una nuo­va qua­li­tà del­la vita.

Tut­ta­via già nel 1956, in un discor­so agli urba­ni­sti. Oli­vet­ti osser­va­va che, nel­la mil­le­na­ria civil­tà del­la ter­ra il con­ta­di­no guar­dan­do le stel­le pote­va vede­re Iddio, per­ché la ter­ra, l’acqua, l’aria espri­mo­no in con­ti­nui­tà uno slan­cio vita­le… Ades­so i1 mon­do moder­no aven­do, rac­chiu­so l’uo­mo in edi­fi­ci, nel­le fab­bri­che, viven­do nel­le cit­tà tra l’a­sfal­to del­le: stra­de e l’e­le­var­si del­le gru e il rumo­re dei moto­ri e il disor­di­na­to intrec­ciar­si dei vei­co­li, ras­so­mi­glia un poco ad una vasta dina­mi­ca, assor­dan­te,  osti­le pri­gio­ne dal­la qua­le  pre­sto o tar­di biso­gna evadere

Que­sta poli­ti­ca del ter­ri­to­rio che si arti­co­la­va nel decen­tra­men­to indu­stria­le e nel­la pia­ni­fi­ca­zio­ne urba­ni­sti­ca ave­va come per­no l’en­te loca­le auto­no­mo da lui defi­ni­to “Comu­ni­tà  con­cre­ta” che nel­le sue dimen­sio­ni geo­gra­fi­che e nel­le sue pre­sta­zio­ni tra­scen­de­va le cor­ni­ci dei Comu­ne tra­di­zio­na­li «Una Comu­ni­tà — dice­va – ter­ri­to­rial­men­te  definita,dotata di vasti pote­ri che dia a tut­te le atti­vi­tà quell’indispensabile coor­di­na­men­to, quel­l’ef­fi­cien­za quel rispet­to del­la per­so­na­li­tà uma­na, del­la cul­tu­ra, del­l’ar­te che la civil­tà del­l’uo­mo ha rea­liz­za­to nei suoi luo­ghi miglio­ri. Il com­pi­to di que­sta enti­tà ter­ri­to­rial­men­te e Isti­tu­zio­nal­men­te defi­ni­ta supe­ra­va le con­sue­te pre­sta­zio­ni buro­cra­ti­co-ammi­ni­stra­ti­ve e pun­ta­va a «por­ta­re gra­da­ta­men­te in tut­ti i pic­co­li vil­lag­gi il pia­no di assi­sten­za socia­le, cul­tu­ra­le, edu­ca­ti­va, ricrea­ti­va più compleato..

Ma affin­ché que­sto fos­se pos­si­bi­le era neces­sa­rio anzi­tut­to ele­va­re il gra­do cul­tu­ra­le degli abi­tan­ti. Da qui quel­la straor­di­na­ria fio­ri­tu­ra dei Cen­tri comu­ni­ta­ri, dove al pri­mo posto si col­lo­ca­va­no la biblio­te­ca e i mez­zi audio­vi­si­vi e dove la gen­te era chia­ma­ta ad inter­ro­gar­si sui pro­pri biso­gni e a, dibat­te­re i pro­ble­mi del pro­prio avvenire.

Quel­la che oggi vie­ne defi­ni­ta “par­te­ci­pa­zio­ne” si mani­fe­sta­va in tal modo secon­do cri­te­ri di asso­lu­to spon­ta­nei­smo al di fuo­ri del­le pres­sio­ni e del­le inter­fe­ren­ze par­ti­ti­che di cui egli dif­fi­da­va, con­si­de­ran­do­le restrit­ti­ve di ogni vera auto­no­mia. La fun­zio­ne spe­ci­fi­ca di que­ste for­me auto­no­mi­sti­che con­si­ste­va. In sostan­za nel sot­trar­re il cit­ta­di­no ai peri­co­li che «lo Sta­to diven­ga attra­ver­so i par­ti­ti, l’ar­bi­tro asso­lu­to dei desti­ni dell’individuo E aggiun­ge­va: ‑Nes­sun uomo. Nean­che il più pove­ro o il più debo­le può appar­te­ne­re allo Sta­to: occor­re. In altri ter­mi­ni, che lo Sta­to esi­sta per l’uo­mo e noti l’uomo per lo Stato».

Il dise­gno del­la Comu­ni­tà muo­ve­va dun­que dal­la con­sta­ta­zio­ne che «mol­te coscien­ze sono oggi In cri­si per­ché i par­ti­ti non han­no rispet­ta­to la veri­tà non han­no avu­to tol­le­ran­za e han­no in qual­che modo tra­di­to gli stes­si idea­li per cui era­no nati.

Si era nel 1955,  e que­ste idee, oggi così attua­li, veni­va­no divul­ga­te da par­te di un per­so­nag­gio che come ebbe a rile­va­re Levis Mum­ford. ‑incar­na­va il con­cet­to ari­sto­te­li­co del­l’uo­mo gene­ro­so-. In que­sta gene­ro­si­tà. che era essen­zial­men­te fidu­cia  va indi­vi­dua­to il carat­te­re straor­di­na­rio di quel­la sta­gio­ne cana­ve­sa­na Irri­pe­ti­bi­le, domi­na­ta da una personalit9 che in una gene­ra­le disgre­ga­zio­ne di mol­ti valo­ri cre­de­va anco­ra sin­ce­ra­men­te nel­la reden­zio­ne uma­na. — Che cos’è — si chie­de­va — un cen­tro o una fab­bri­ca comu­ni­ta­ria? -. E rispon­de­va con estre­ma sem­pli­ci­tà: •E’ il luo­go d’in­con­tro col tuo prossimo».

Ades­so, a ven­t’an­ni dal­la scom­par­sa, la sua figu­ra sem­bra veni­re risco­per­ta. Le mani­fe­sta­zio­ni che si ter­ran­no ad Ivrea ai pri­mi di otto­bre con­tri­bui­ran­no ad esal­ta­re, attra­ver­so un semi­na­rio di tre gior­ni e per la pri­ma vol­ta in modo orga­ni­co un’o­pe­ra com­ples­sa che trop­po fret­to­lo­sa­men­te era sta­ta con­fi­na­ta nel­le cor­ni­ci di un mero eser­ci­zio intellettualistico-

 

da il sole 24 ore