Camillo Olivetti: Industriale e politico.

Nel 1960 mori­va Adria­no Oli­vet­ti. La sua azien­da era la più pre­sti­gio­sa azien­da ita­lia­na nel mondo.
La Oli­vet­ti era sta­ta fon­da­ta dal Padre Camil­lo, cin­quan­t’ot­to anni pri­ma, nel 1908. Sono anni che si disqui­si­sce sul­la figu­ra di Adria­no, pochi si sono occu­pa­ti del fon­da­to­re di cui si è per­so il ricor­do per­si­no a Ivrea. Eppu­re, sen­za la figu­ra di que­sto epo­re­die­se ati­pi­co, il mito Oli­vet­ti non sareb­be mai nato. Ana­liz­za­re la sto­ria del fon­da­to­re, non è solo par­la­re di un uomo e di una vita straor­di­na­ri, ser­ve a inda­ga­re l’origine di un mito diven­ta­to tale quan­do ormai la gran­de fab­bri­ca non esi­ste­va più.
Camil­lo Oli­vet­ti è un inge­gne­re elet­tro­tec­ni­co, si è lau­rea­to al Regio museo indu­stria­le di Tori­no, quel­lo che diven­te­rà il Poli­tec­ni­co. E’ allie­vo di Gali­leo Fer­ra­ris, l’inventore del cam­po magne­ti­co rotan­te che sarà la base dell’applicazione del moto­re elet­tri­co. Con lui, Camil­lo, farà un viag­gio negli Sta­ti Uni­ti facen­do­gli da inter­pre­te poi­ché il gran­de scien­zia­to non cono­sce­va quel­la lin­gua. L’occasione fu il con­gres­so di elet­tro­tec­ni­ca che nel 1893 si svol­se a Chi­ca­go nell’ambito dell’esposizione uni­ver­sa­le. Al ter­mi­ne dei lavo­ri con­gres­sua­li Gali­leo Fer­ra­ris ritor­nò in Italia,
Camil­lo, vol­le sog­gior­na­re negli Sta­tes per un suo spe­cia­le otto­cen­te­sco viag­gio sab­ba­ti­co. In real­tà fu la svol­ta del­la sua vita, sia sul pia­no ideo­lo­gi­co che imprenditoriale.
Gli Sta­ti Uni­ti di fine otto­cen­to era­no in pie­na rivo­lu­zio­ne indu­stria­le. Le sue cit­tà in gran­de svi­lup­po: la stes­sa Chi­ca­go, che era sta­ta fon­da­ta solo quarant’anni pri­ma, era ormai una gran­de e cao­ti­ca metropoli.
Il gio­va­ne Camil­lo per­cor­re quei ter­ri­to­ri “coa­st to coa­st”, coglie non solo lo svi­lup­po indu­stria­le, enor­me rispet­to all’Italia e alla stes­sa Euro­pa, coglie gli aspet­ti socia­li e demo­cra­ti­ci. Dal­le let­te­re che spe­di­sce in quel viag­gio alla madre e al cogna­to, evi­den­zia come quel capi­ta­li­smo, usci­to vit­to­rio­so dal­la guer­ra di seces­sio­ne, in pochi anni ave­va crea­to, non solo sfrut­ta­men­to e disu­gua­glian­ze ma un pro­gres­so eco­no­mi­co e socia­le impen­sa­bi­le per l’Italia del pri­mo gover­no Giolitti.
In Camil­lo, si radi­ca la con­vin­zio­ne che il capi­ta­li­smo indu­stria­le non è in anti­te­si con il pro­gres­so dei ceti popo­la­ri, que­gli stes­si ceti che i suoi ami­ci: Tura­ti e Tre­ves voglio­no rap­pre­sen­ta­re fon­dan­do, pro­prio in quel perio­do, pri­ma il Par­ti­to del lavo­ro e poi, nel ‘94, il Par­ti­to Socia­li­sta Italiano.
La lezio­ne ame­ri­ca­na con­sen­ti­rà a Camil­lo di ave­re una visio­ne diver­sa rispet­to al resto dei socia­li­sti, i qua­li, chi più, chi meno, si dichia­ra­va­no tut­ti mar­xi­sti ma divi­si sul­la tat­ti­ca, tra chi pro­pu­gna­va le rifor­me e chi la rivoluzione.
Camil­lo è orga­ni­co al Par­ti­to, sarà il refe­ren­te per il Cana­ve­se e la Val­le d’Aosta che allo­ra era­no un’unica pro­vin­cia del Pie­mon­te. Le sue posi­zio­ni sono ati­pi­che, si dichia­re­rà rivo­lu­zio­na­rio, non per una rivo­lu­zio­ne clas­si­sta, ma per un’Italia Repub­bli­ca­na e fede­ra­le. Nel 1898, intui­sce che a Mila­no sareb­be­ro suc­ces­si disor­di­ni per via del­la tas­sa sul maci­na­to, si reca in quel­la cit­tà spe­ran­do che da lì sareb­be par­ti­ta la sua rivo­lu­zio­ne. Finì con le can­no­na­te di Bava Bec­ca­ris, Camil­lo rischiò l’arresto e per anni sarà sche­da­to. Quel­la rivo­lu­zio­ne man­ca­ta lo con­vin­se che l’unica via pos­si­bi­le era quel­la del­le rifor­me. Il Camil­lo indu­stria­le, nel 1894 pro­get­ta e costrui­sce la fab­bri­ca di mat­to­ni ros­si, met­te­rà a frut­to i suoi stu­di pro­get­tan­do e pro­du­cen­do appa­rec­chia­tu­re elet­tri­che con il mar­chio di CGS (cen­ti­me­tro, gram­mo, secondo).
Ivrea, tut­ta­via, poco si pre­sta­va com­mer­cial­men­te a simi­li pro­dot­ti, per cui Camil­lo deci­se di tra­sfe­rir­si a Mila­no dove la sua atti­vi­tà pro­spe­rò anche gra­zie ai capi­ta­li che gli ven­ne­ro dal­la Edison.
Quel gran­de socio però gli impe­di­va d’ inve­sti­re in ricer­ca gli uti­li cospi­cui. Non fece dram­mi ma deci­se, pur rima­nen­do Pre­si­den­te del­la Socie­tà, di ria­pri­re la fab­bri­ca di mat­to­ni ros­si per pro­get­ta­re e pro­dur­re una mac­chi­na per scri­ve­re tut­ta italiana.
E’ il 1910 quan­do vie­ne pro­dot­to il pri­mo esem­pla­re: la M1.
Come in Camil­lo sia matu­ra­ta l’idea del­le mac­chi­ne da scri­ve­re in un Pae­se come l’Italia domi­na­to dagli scri­va­ni: i ber­se­zia­ni “tra­vet”, si spie­ga anco­ra una vol­ta dal viag­gio ame­ri­ca­no, dove visi­tò una gran­de fab­bri­ca di mac­chi­ne da scri­ve­re, quel­le stes­se che al ritor­no, con alcu­ni ami­ci, impor­te­rà con un’attività com­mer­cia­le a Torino.
Tor­nan­do alla poli­ti­ca, Camil­lo è in dis­sen­so con la cor­ren­te mas­si­ma­li­sta che ha mes­so in mino­ran­za Tura­ti e i rifor­mi­sti, lasce­rà di con­se­guen­za l’impegno diret­to nel Par­ti­to per dedi­car­si, ani­ma e cor­po, alle mac­chi­ne per scrivere.
Lo svi­lup­po del­la Oli­vet­ti coin­ci­de con la pri­ma guer­ra mondiale.
Nel perio­do che pre­ce­det­te il con­flit­to, cau­sa le incer­tez­ze poli­ti­che che si river­sa­ro­no anche sull’economia, l’azienda ebbe dei con­trac­col­pi nega­ti­vi, tan­to che pur di non licen­zia­re i dipen­den­ti pro­po­se di dimi­nui­re le ore lavo­ra­te. Camil­lo era soli­to riu­ni­re i dipen­den­ti nel cor­ti­le del­la fab­bri­ca: su una cas­set­ta, memo­re dei comi­zi da socia­li­sta, infor­ma­va i dipen­den­ti dei pro­ble­mi azien­da­li, così fece anche in quell’occasione.
Alla pro­po­sta di ridur­re l’orario per tut­ti, le mae­stran­ze rispo­se­ro con la pro­po­sta di lavo­ra­re a tem­po pie­no, il sala­rio man­can­te l’avrebbero per­ce­pi­to a cri­si fini­ta. Si inau­gu­ra­va così una pra­ti­ca e un rap­por­to tra lapro­prie­tà e i lavo­ra­to­ri asso­lu­ta­men­te straor­di­na­rio per quei tempi.
Camil­lo nei con­fron­ti del­la guer­ra fu su posi­zio­ni inter­ven­ti­ste, cer­ta­men­te non spo­san­do in toto le posi­zio­ni del nazio­na­li­smo più spin­to, ma valu­tan­do obbiet­ti­va­men­te che quel con­flit­to pote­va esse­re il defi­ni­ti­vo com­pi­men­to del risor­gi­men­to ita­lia­no, oltre la scel­ta di cam­po in dire­zio­ne del­le demo­cra­zie libe­ra­li: l’Inghilterra e la Francia.
In quell’occasione cri­ti­cò le posi­zio­ni oltran­zi­ste del paci­fi­smo socia­li­sta iso­la­to dagli stes­si socia­li­sti euro­pei; ciò non toglie che fu mol­to cri­ti­co, sia sul­la con­du­zio­ne mili­ta­re, sia sul­lo sfor­zo bel­li­co indu­stria­le del Pae­se, attac­can­do dura­men­te il Comi­ta­to di mobi­li­ta­zio­ne indu­stria­le che ave­va gene­ra­to spre­chi e favoritismi.
Come per tut­te le indu­strie che par­te­ci­pa­ro­no alle for­ni­tu­re mili­ta­ri, anche per la Oli­vet­ti che pro­dus­se appa­rec­chia­tu­re sofi­sti­ca­te per l’aeronautica, ci fu un for­te svi­lup­po, ma non quei super­pro­fit­ti truf­fal­di­ni a cui Camil­lo non vol­le par­te­ci­pa­re. La svol­ta pro­dut­ti­va la darà il dopo guer­ra, in cui nien­te fu come pri­ma e gli ita­lia­ni, final­men­te, impa­ra­ro­no anche a scri­ve­re a macchina.
Le ele­zio­ni poli­ti­che del 1919 lo vide­ro schie­ra­to con l’USI (Unio­ne Socia­li­sta Ita­lia­na) capi­ta­na­ta da Bis­so­la­ti e Bono­mi i qua­li, pur essen­do sta­ti tra i fon­da­to­ri del Par­ti­to ne furo­no espul­si dal­la cor­ren­te mas­si­ma­li­sta, gra­zie anche a un nuo­vo tri­bu­no: Beni­to Mussolini.
La déba­cle di que­sta nuo­va sini­stra rifor­mi­sta, coin­ci­se con la gran­de affer­ma­zio­ne dei Socia­li­sti uffi­cia­li. Dal­le pagi­ne dell’ ”Azio­ne rifor­mi­sta”, un set­ti­ma­na­le che edi­tò a Ivrea, abbia­mo la cro­na­ca di quel perio­do, non­ché la delu­sio­ne per le posi­zio­ni del­la mag­gio­ran­za socia­li­sta rifiu­tan­do­si di col­la­bo­ra­re, non solo con i gover­ni Gio­lit­ti che nel pri­mo decen­nio del ‘900 si era dimo­stra­to un deci­so rifor­mi­sta, ma anche con gli stes­si Popo­la­ri di Don Stur­zo, con­dan­nan­do­si ad una ste­ri­le oppo­si­zio­ne fat­ta con lo slo­gan: “fare come in Rus­sia” poi­ché, nel frat­tem­po, i Bol­sce­vi­ki si era­no impa­dro­ni­ti del potere.
Va det­to che Camil­lo sul leni­ni­smo e la rela­ti­va dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to non ebbe alcu­na esi­ta­zio­ne nel dichia­rar­si in net­to dissenso.
Dopo que­ste delu­sio­ni, Camil­lo è solo un atten­to osser­va­to­re poli­ti­co. Non rinun­cian­do alla sua voca­zio­ne gior­na­li­sti­ca, fon­da a Tori­no, con alcu­ni ami­ci pro­gres­si­sti: Tem­pi nuovi.
Dal­le pagi­ne di quel set­ti­ma­na­le, appren­dia­mo mol­to del­le idee di que­gli uomi­ni. Delu­si dall’inconcludenza del­le sini­stre, in qual­che modo, sim­pa­tiz­za­no per il nascen­te movi­men­to fasci­sta. Camil­lo, non ha una gran­de opi­nio­ne di Mus­so­li­ni, non dimen­ti­ca il suo pas­sa­to mas­si­ma­li­sta, tut­ta­via con­si­de­ra il fasci­smo, un opzio­ne pos­si­bi­le, per il cam­bia­men­to del nostro Paese.
Dopo la mar­cia su Roma, non ces­san­do le vio­len­ze squa­dri­ste che a Tori­no si era­no mani­fe­sta­te con una vera e pro­pria stra­ge, Tem­pi nuo­vi si fa cri­ti­co. Il gior­na­le sarà sal­va­to dal­la rea­zio­ne squa­dri­sta gra­zie all’intervento del­la sini­stra fasci­sta che a Tori­no face­va capo a Mario Gio­da e a Mas­si­mo Roc­ca (entram­bi ex anar­chi­ci), impe­gna­ti a con­tra­sta­re Cesa­re Maria De Vec­chi, qua­drun­vi­ro e fasci­sta monarchico.
Camil­lo, sarà costret­to per moti­vi di oppor­tu­ni­tà, non volen­do met­te­re a repen­ta­glio l’azienda e soprat­tut­to il posto di lavo­ro dei dipen­den­ti che ormai era­no cen­ti­na­ia, ad abban­do­na­re la reda­zio­ne del giornale.
L’ultimo atto poli­ti­co uffi­cia­le di Camil­lo risa­le al 1924: imme­dia­ta­men­te dopo il delit­to Mat­teot­ti, con Adria­no, pro­muo­ve una mani­fe­sta­zio­ne di pro­te­sta al Tetro Gia­co­sa di Ivrea.
Sap­pia­mo come anda­ro­no le cose, Camil­lo dovrà dedi­car­si esclu­si­va­men­te alla sua fab­bri­ca che, nel frat­tem­po, è diven­ta­ta una media azienda.
Sarà lui a svi­lup­par­la ulte­rior­men­te con la crea­zio­ne di filia­li in tut­to il Pae­se e nel­le prin­ci­pa­li Cit­tà euro­pee, oltre ad apri­re sta­bi­li­men­ti in Spa­gna e in Argentina.
Adria­no Oli­vet­ti, dopo un perio­do di appren­di­sta­to come ope­ra­io, farà un viag­gio negli Sta­ti Uni­ti sul­le orme pater­ne. Ne tor­ne­rà con nuo­ve idee
e nuo­vi meto­di pro­dut­ti­vi, pro­pu­gnan­do quel Tay­lo­ri­smo che negli Sta­tes ha dato gran­di risul­ta­ti. Camil­lo non appro­va quei meto­di. Nono­stan­te ciò, lascia che Adria­no, con­si­de­ran­do­lo il suo ere­de, diri­ga la fab­bri­ca, non per­ché tec­ni­ca­men­te è il più bra­vo, ma per la sua visio­ne di fab­bri­ca socia­le che Camil­lo gli ha instil­la­to fin da ragaz­zo. Se il Tay­lo­ri­smo è un male neces­sa­rio, ingo­ie­rà la sper­so­na­liz­za­zio­ne del lavo­ro, chie­den­do in cam­bio che in quel­la fab­bri­ca mai nes­sun lavo­ra­to­re fos­se costret­to a lascia­re il posto di lavoro.
Camil­lo è il Pre­si­den­te del­la Oli­vet­ti, Adria­no è il Diret­to­re gene­ra­le con pie­ni pote­ri che comun­que eser­ci­te­rà sem­pre con­sul­tan­do il padre. Sono gli anni tren­ta, si costrui­sco­no i nuo­vi sta­bi­li­men­ti pro­get­ta­ti dagli archi­tet­ti mila­ne­si: Figi­ni e Pol­li­ni, allie­vi di Le Cor­bu­sier. Adia­cen­te la fab­bri­ca di mat­to­ni ros­si, sor­ge­rà la fab­bri­ca di cri­stal­lo, una novi­tà archi­tet­to­ni­ca asso­lu­ta per que­gli anni. Camil­lo, che tut­to som­ma­to è un uomo dell’ottocento, mugu­gna di fron­te a tan­to avve­ni­ri­smo, ma non si oppone.
Negli ulti­mi anni del­la sua vita, all’impegno indu­stria­lee poli­ti­co, suben­tra quel­lo reli­gio­so. Lui, ebreo, ma non pra­ti­can­te, sce­glie la con­fes­sio­ne Uni­ta­ria­na che è la sum­ma di quan­to di più avan­za­to c’è del­le dot­tri­ne cri­stia­ne: tra i suoi adep­ti ci furo­no gran­di intel­let­tua­li, poli­ti­ci e per­si­no pre­si­den­ti americani.
Camil­lo, mori­rà nel Biel­le­se dove si era rifu­gia­to per sfug­gi­re ai nazi­sti. Nono­stan­te il peri­co­lo, da Ivrea, si mos­se una colon­na di dipen­den­ti per dare l’estremo salu­to al fondatore.
Adria­no è in Sviz­ze­ra, in lui stan­no matu­ran­do le gran­di idee poli­ti­che e socia­li che cer­che­rà, inva­no, di far pene­tra­re nel Pae­se, né lui, né Camil­lo, furo­no pro­fe­ti in Patria ed è un peccato.

 

Tino Girau­do 
da la fab­bri­ca di mat­to­ni rossi