Fotografia: Mario Giacomelli visto da Enzo Carli

IL REALE E L’ IMMAGINARIO

(Omag­gio a Mario Giacomelli

Enzo Car­li con Mario Giacomelli

Cari­chi di signi­fi­ca­ti immen­si, i dolo­ri e i pen­sie­ri del­la ter­ra sono il moti­vo del­le foto­gra­fie di Mario Gia­co­mel­li, imma­gi­ni come far­fal­le, die­tro il vetro di una mac­chi­na foto­gra­fi­ca. Un’infanzia bre­ve ma che lo ha sem­pre nutri­to; l’idea si fa pen­sie­ro iti­ne­ran­te del­la sua ani­ma e fin dall’inizio la sua è una rela­zio­ne con il flui­re del tem­po in un rap­por­to inte­rio­re come rifles­sio­ne, lamen­to, dia­rio. Un tem­po che Gia­co­mel­li ten­ta di fer­ma­re come esten­sio­ne e giu­sti­fi­ca­zio­ne del­la memo­ria. Imma­gi­ni come autoa­na­li­si, come spec­chio del­la sua stes­sa esi­sten­za, come il “sen­so” del tem­po. La foto­gra­fia come rie­vo­ca­zio­ne di inte­res­si che spa­zia­no come con­trad­di­zio­ni, come scel­ta mora­le e cul­tu­ra­le. Vive nel riscat­to di una realtà,forse evo­ca­ta, for­se segna­ta dal­la memo­ria e dal ricor­do, nel­le sue pie­ghe, nei suoi inter­sti­zi, nel­la mate­ria e nei suoi umo­ri, nel riscat­to del­la for­ma, e nel­le sue sta­gio­ni, la gio­ia del­la crea­zio­ne e del­la cono­scen­za. E’ attrat­to da tut­to quel­lo che non si può espri­me­re con le paro­le del­la poe­sia, da tut­te quel­le vibra­zio­ni che susci­ta­no inter­ro­ga­zio­ni. La sua foto­gra­fia, attra­ver­so il ricor­do, con la for­za del­la sua veri­tà, comu­ni­ca­zio­ne, rea­liz­za­zio­ne e tra­sfor­ma­zio­ne, per­met­te una più ampia cono­scen­za di se stes­si e “…è bel­lo pen­sa­re che tut­to ciò può esse­re anche ricrea­to, tra­smes­so con i mez­zi del­la nostra civiltà”.

Una sor­ta di ope­ra­zio­ne mime­ti­ca che pur man­te­nen­do in sé la carat­te­ri­sti­ca del rea­le, spa­zia nel vuo­to men­ta­le più spin­to. Egli vuo­le iso­la­re, rei­fi­ca­re i reper­ti emo­zio­na­li del­la memo­ria per con­cre­ta­re il sen­so e idea­liz­za­re l’essenza. Il rap­por­to che ha con le imma­gi­ni non è inten­dia­mo­ci quel­lo del riscat­to seman­ti­co o di pro­vo­ca­re un’operazione este­ti­ca (che ne è solo la con­se­guen­za), ben­sì di esse­re den­tro la sua costru­zio­ne, mani­po­lan­do il ritor­no alle cose, costruen­do e modi­fi­can­do l’autenticità del refe­ren­te; il rea­le imma­gi­na­to con il pre­te­sto del rea­le rico­strui­to. Insom­ma il rap­por­to che instau­ra con le sue imma­gi­ni è quel­lo non solo del vede­re, ma dell’agire, dell’operare con esse, del ritor­no alle cose.

Le imma­gi­ni sono lega­te da fram­men­ti, tas­sel­li, fili invisibili,dal rit­mo modu­la­re in un pro­get­to glo­ba­le; sia come ten­ta­ti­vo roman­ti­co per sot­to­li­nea­re l’ancoraggio alle anti­che memo­rie, sia come ten­ta­ti­vo vita­le, pie­no di con­fu­se essen­ze e di odo­ri recen­ti, per recu­pe­ra­re l’esistenza. La natu­ra è spes­so adot­ta­ta come matri­gna son­tuo­sa, por­ta­tri­ce di un pat­tern eroi­co, quel­lo del­la com­pe­ne­tra­zio­ne del­le enti­tà e degli umo­ri, quel­lo del­lo sta­to puro, del­la vibra­zio­ne all’unisono con le cel­lu­le antro­pi­che in un tutt’uno trion­fa­le e beni­gno (Spoon River). Ma la natu­ra si mostra feri­ta dal­la  ter­ri­bi­le poten­za deva­sta­tri­ce che è quel­la dell’uomo che ha dimen­ti­ca­to i suoi cicli e le sue sta­gio­ni; ecco che il riscat­to di Gia­co­mel­li che la ritor­na vis­su­ta e inte­rio­riz­za­ta  per pla­ca­re il flui­re del tem­po che ha scon­vol­to rit­mi e pas­sio­ni (Il can­tie­re de paesaggio).

Nel­le imma­gi­ni uma­ne di Gia­co­mel­li c’è sem­pre que­sto sen­so di este­ti­smo dell’angoscia che non è né mora­le né socia­le: è il gri­do inter­no dell’uomo che si coniu­ga con i suoi simi­li, è il lamen­to che dà il vol­to tra intrec­ci e sovrap­po­si­zio­ni, come si for­mas­se da una nebu­lo­sa varie­ga­ta che men­tre appa­re, per stra­ti, com­po­ne l’immagine; sono più cam­pi, più spa­zi con­ver­gen­ti ver­so un nucleo foca­le che anti­ci­pa con la sua estre­ma per­ce­zio­ne, il for­mar­si dell’immagine (Moti­vo sug­ge­ri­to dal taglio dell’albero come i Pae­sag­gi come le tra­me nei vol­ti dei Vec­chi dell’ospizio).”La ver­ti­gi­ne gia­co­mel­lia­na”, poten­za psi­co­lo­gi­ca, è astrat­ta per i per­so­nag­gi del rac­con­to; essi la vivo­no come uno sta­to del mon­do  non nega­ti­vo, pur appa­ren­te­men­te dram­ma­ti­co, come incom­pren­si­bi­le pre­sen­za (Lour­des, l’Ospizio).

Nell’operato di Gia­co­mel­li c’è un’irresistibile espan­sio­ne dina­mi­ca inte­rio­re che tra­sfe­ri­sce nel­le imma­gi­ni, appa­ren­ti disor­di­ni (Favo­la per un viag­gio ver­so pos­si­bi­li signi­fi­ca­ti inte­rio­ri — fer­ri ritor­ti) o sono per­ce­zio­ni, trac­ce del­la memo­ria come i Pre­ti­ni (Io non ho mani che mi acca­rez­za­no il vol­to) che sono col­lo­ca­ti un uno spa­zio fuo­ri dal­la gra­vi­tà e dal­la mate­ria, in un ete­re impal­pa­bi­le che li pone sospe­si, eva­ne­scen­ti e fluttuanti.

Un Gia­co­mel­li che supe­ra anche l’enfasi di una gestua­le tea­tra­li­tà (Ho la testa pie­na mam­ma – Il tea­tro del­la neve) o il pro­vo­can­te reper­to­rio di lace­ra­zio­ni e feri­te (La ter­ra che muo­re; Il taglio del bosco). Ora spe­gne la mate­ria, la imbri­glia nei muri opachi,rigidi che si espan­do­no su sche­mi geo­me­tri­ci, ari­di, sec­chi. L’atteggiamento è muta­to, non par­te­ci­pa più alla vita­li­tà del­la mate­ria, la lascia con­ge­la­re nei suoi ine­vi­ta­bi­li pro­ces­si orga­ni­ci men­tre gene­ra come fos­se spin­ta iner­zia­le, il movi­men­to. Un con­sa­pe­vo­le inter­ven­to men­ta­le che pri­vi­le­gia un pro­get­to di gene­si antro­po­lo­gi­ca dove Gia­co­mel­li par­te­ci­pa mimando,intervenendo sul­la for­ma che assor­be l’ambiente, attra­ver­so un ten­ta­ti­vo, scon­cer­tan­te, di inter­ve­ni­re, di ani­ma­re attra­ver­so il dina­mi­smo gestua­le, di pro­por­re cioè nuo­ve for­me di vita.

 

Gia­co­mel­li rige­ne­ra le imma­gi­ni ser­ven­do­si di esse per col­lo­car­le in una nuo­va dimen­sio­ne del­la memo­ria, impri­men­do loro quel­la ener­gia, ali­men­ta­ta dal­le pas­sio­ni essen­zia­li con cui si coniu­ga al mon­do, neces­sa­ria a far­le vive­re come vor­reb­be, for­zan­do­ne pale­se­men­te i tem­pi e gli sche­mi di sviluppo”…Fotografare non è solo real­tà o impe­gno poli­ti­co; io cam­mi­no per un’altra strada,con que­ste imma­gi­ni (Pas­sa­to, serie  ispi­ra­ta da una poe­sia di Vin­cen­zo Car­da­rel­li e dedi­ca­ta alla Madre del foto­gra­fo, mor­ta nel 1986)  rimet­to tut­to in discus­sio­ne. Voglio rifo­to­gra­fa­re per ripren­de­re le cose mor­te e dare loro la vita;voglio rin­no­va­re me stes­so nel­le con­trad­di­zio­ni per non ripe­ter­mi. Non cer­co solo di capi­re la natu­ra ben­sì di viverla…Vorrei che si tenes­se con­to del fat­to che mi sono ser­vi­to del­la ter­ra, dell’immaginazione, degli sta­ti d’animo..e che la mac­chi­na foto­gra­fi­ca è un fil­tro tra la real­tà e l’immaginazione, non uno specchio…..Alcune mie foto sono volu­ta­men­te equi­vo­che nel sen­so che ho per­ce­pi­to attra­ver­so que­ste imma­gi­ni qual­co­sa che c’è den­tro la poe­sia; alcu­ne foto sono la memo­ria del­la memo­ria; le cose sono più vec­chie o più gio­va­ni e le stam­pe sono sfa­ri­na­te dal tem­po per ricrea­re il tempo…”.

Le idee libe­ra­no le azio­ni e Gia­co­mel­li, per­cor­so da inten­se pul­sio­ni, fecon­da la mate­ria all’inizio del ciclo ino­cu­lan­do arche­ti­pi ani­ma­ti e mos­si che pro­vo­ca­no gli effet­ti sgra­na­ti e man­gia­ti del­le immagini;tende a ripro­por­re aspet­ti  e for­me con atten­zio­ne e affet­ti ine­di­ti, a vol­te scon­vol­gen­do con allar­man­ti tec­ni­che di ingran­di­men­to (estra­nia­men­to e de con­te­stua­liz­za­zio­ne) e calan­do le imma­gi­ni in atmo­sfe­re spet­tra­li e rare­fat­te dove le stes­se pre­sen­ze allu­ci­nan­ti, ven­go­no pla­sma­te di pro­pria vita si gene­ra­no dal caos men­ta­le qua­li for­me imi­ta­ti­ve del­la realtà.

Gia­co­mel­li è sta­to sem­pre coin­vol­to dal­la madre terra;dalla fasci­na­zio­ne e amo­re per la natu­ra e l’ambiente; i suoi pae­sag­gi, le sue ter­re sono lace­ra­te, lavo­ra­te, feri­te e gron­dan­ti di mate­ria. Que­sti suoi immen­si pae­sag­gi-ter­ri­to­ri a loro modo eser­ci­ta­no un fasci­no sen­sua­le e richia­ma­no abra­sio­ni qua­si car­na­li; piat­ti pae­sag­gi che sem­bra­no impres­si diret­ta­men­te sul­la lastra, schiac­cia­ti, sen­za dimen­sio­ni e con­fi­ni richia­ma­no un’epidermide segna­ta. Natu­ra e cul­tu­ra si com­pe­ne­tra­no, mani­po­la­te dal fil­tro inte­rio­re dell’anima, che pene­tran­do nei suoi per­tu­gi ‚nel­le sue pie­ghe e nei suoi mean­dri, ci pre­sen­ta luo­ghi qua­si umo­ra­li, den­si di sen­sa­zio­ni, bri­vi­di e pia­ce­ri essenziali.

Gia­co­mel­li ani­ma que­sti pae­sag­gi con la cul­tu­ra del sag­gio con­ta­di­no che ha un rap­por­to di tota­le inte­gra­zio­ne con la madre ter­ra: egli ara, asporta,taglia, fen­de, inci­de, livel­la, sca­va ed ecco le tra­sfor­ma­zio­ni come sin­te­si fina­le, abbrac­cio e ver­ti­gi­ne ed è tut­to l’universo che par­te­ci­pa, che geme, si con­cen­tra e si anima.

La saga magi­ca “La buo­na ter­ra”, nascon­de anco­ra il tra­scor­re­re quie­to del­le sta­gio­ni dove ogni cosa ha il sapo­re dell’antico ritua­le e nel­lo stes­so tem­po del docu­men­to popo­la­re come espres­sio­ne anco­ra di un nuo­vo rap­por­to cultura/natura: il matri­mo­nio sull’aia, il rac­col­to, la ven­dem­mia, l’uccisione del maia­le, i bim­bi che gio­ca­no sul cor­ti­le, la sera tut­ti rac­col­ti nel calo­re del cami­no. Gia­co­mel­li con spi­ri­to can­di­do e naif fa par­la­re con le sue imma­gi­ni la natu­ra di sem­pre, quel­la del­la sua memo­ria o del­la memo­ria dei suoi avi. Tut­ta la costru­zio­ne è impec­ca­bi­le, puli­ta, sen­za vio­len­ze; l’uccisione del maia­le è l’apoteosi del ritua­le, il sacri­fi­cio obbli­ga­to di una vita pie­na di con­cre­tez­za esi­sten­zia­le dove non c’è spa­zio per gli ste­reo­ti­pi cul­tu­ra­li o per le con­ta­mi­na­zio­ni esi­sten­zia­li che non sia­no quel­le pri­mi­ti­ve, auste­re, puli­te, for­ti e sicu­re pro­prie del­la natu­ra nel­la natura.

La foto­gra­fia di Mario cer­ca sem­pre di ritro­va­re il rap­por­to con la liber­tà. Attra­ver­so la sua iner­zia poe­ti­ca e con­tem­pla­ti­va, cer­ca di risco­pri­re le cose leg­gen­do­le non per il ver­so soli­to o per il loro comu­ne aspet­to, ma inter­pre­tan­do­le e resti­tuen­do­le in altre ango­la­zio­ni di let­tu­ra intro­du­cen­do nuo­vi ele­men­ti lin­gui­sti­ci: i bian­chi bru­cia­ti, i neri aper­ti e orga­ni­ci, il mos­so, il ral­len­ta­to, lo sfo­ca­to. Si affi­da alle sue sen­sa­zio­ni, al suo sen­ti­re, al suo vede­re e per­ce­pi­re. La con­tem­pla­zio­ne di se, del­le cose den­tro e fuo­ri, gli per­met­te di coglie­re atti­mi inten­si del­la vita psi­chi­ca e rela­zio­na­le; le segre­te osses­sio­ni, il suo deli­rio d’amore, il suo disgu­sto, la sua nau­sea, il suo dolo­re pro­du­co­no effet­ti com­bi­na­ti che gli per­met­to­no di rein­ve­sti­re entro­pi­ca­men­te for­me di ener­gia che usual­men­te van­no disperse.

In pro­ce­di­men­ti del gene­re sta il suc­co del­la “nuo­va ogget­ti­vi­tà”: ritro­va­re come è dove­re di ogni ricer­ca arti­sti­ca l’autenticità dei rap­por­ti con tut­ti gli aspet­ti del­la vita e del­la creatività.

Gia­co­mel­li sa affron­ta­re temi pesan­ti e gra­vi, ripor­tar­li nel­la loro essen­za poe­ti­ca, digni­tà e sen­si­bi­li­tà, sen­za incor­re­re nel rischio del reto­ri­co ideo­lo­gi­co o in sti­le­mi acca­de­mi­ci. Rifug­ge dal­le pre­sun­zio­ni; sa bene che non si può chiu­de­re un periodo,che esi­sto­no aldi­là dei cor­si e ricor­si, sin­to­ma­ti­che influen­ze, che il già visto o il già fat­to appar­ten­go­no alla nostra memo­ria sto­ri­ca culturale.

Gli anneb­bia­men­ti, le dis­sol­ven­ze, le alte­ra­zio­ni ser­vo­no per recu­pe­ra­re alcu­ne fun­zio­ni di un tem­po che Mario chia­ma in cau­sa quan­do gli diven­ta vita­le respi­ra­re quell’aria. Ecco l’artificio e l’incantesimo; un Gia­co­mel­li pre­sen­te in un tem­po indif­fe­ren­te, cat­tu­ra le imma­gi­ni, il loro “cor­pus”, se ne impa­dro­ni­sce, le fil­tra con la mac­chi­na del tem­po da dove rie­sco­no ecto­pla­smi evo­ca­ti e mate­ria­liz­za­ti sul­la tela- car­ta sen­si­bi­le; affron­ta il pro­ble­ma del movi­men­to tiran­do e allun­gan­do i sog­get­ti, cari­can­do­li di bian­chi bru­cia­ti per sfo­car­li poi nel­le linee di con­tor­no che deli­mi­ta­no i sog­get­ti crean­do degli stra­ni effet­ti cine­ti­ci. Una sor­ta di “scat­to esi­sten­zia­le” che sot­trae i sog­get­ti all’immobilità pro­lun­ga­ta del­la posa, alla sta­ti­ci­tà del­la mor­te, for­nen­do­li di nuo­va attua­li­tà e pre­sen­za, rei­fi­ca­ti dal loro ori­gi­na­rio valo­re. Così negli altri pro­ce­di­men­ti; la distan­za otti­ca volu­ta­men­te sba­glia­ta, lo sfo­ca­to, il mos­so, il ral­len­ta­to pro­du­co­no effet­ti sor­pren­den­ti e ci avvi­ci­na­no di più al gran­de uni­ver­so di Gia­co­mel­li: nel vol­to del­la vec­chi­na all’ospizio le rughe e le tra­me del­lo scial­le pro­pon­go­no un’unica tex­tu­re, facen­do­ci per­de­re d’impatto la nostra sicu­rez­za dell’estetica del­le for­me chia­re e distin­te;  in  più que­sta nuo­va ogget­ti­va­zio­ne sim­bo­li­ca si lega al pae­sag­gio, alle pie­ghe del­la ter­ra, alle figu­re che emer­go­no dal taglio dell’albero.

Si ripe­te in Gia­co­mel­li (Il tea­tro del­la neve) la neces­si­tà di ripren­de­re par­ti­cel­le foto­gra­fi­che spo­glia­te di ogni refe­ren­te seman­ti­co e di ripro­por­le in una tra­scri­zio­ne di real­tà e imma­gi­na­zio­ne cari­ca di nuo­vi signi­fi­ca­ti. Con il pro­ce­di­men­to di ingran­di­men­to, nel­la sua nuo­va ripro­po­si­zio­ne, cado­no tut­ti i refe­ren­ti di real­tà e gli sta­ti dell’immaginazione ven­go­no libe­ra­ti su que­sta nuo­va acqui­si­zio­ne di ter­ri­to­rio e di spa­zio. Così un par­ti­co­la­re di un vec­chio pavi­men­to – e non a caso del­la sua tipo­gra­fia- divie­ne uno stu­pe­fa­cen­te pae­sag­gio che acqui­si­sce pro­pria pro­mo­zio­ne onto­lo­gi­ca ed este­ti­ca, libe­ra­to da ogni siste­ma di rife­ri­men­to e pro­ve­nien­za. Que­sta volu­ta tra­sfor­ma­zio­ne dell’immagine da par­ti­co­la­re bana­le in nuo­vi cam­pi di inter­pre­ta­zio­ne e di sen­sa­zio­ni, fan­no cade­re ogni nes­so con il refe­ren­te rea­le. Gia­co­mel­li, apren­do­ci a nuo­ve dimen­sio­ni di cono­scen­za, per pro­por­ci il suo rea­le immaginario,in fon­do ope­ra con il pro­ce­di­men­to inver­so di tra­sfe­ri­men­to rea­le: il sor­ti­le­gio si com­pie in came­ra oscu­ra dove tut­to vie­ne tra­sfor­ma­to, fil­tra­to dal­le sue pul­sio­ni e dal­le sue emo­zio­ni. Un rea­le imma­gi­na­rio tan­to più magi­co quan­to più comu­ne è la pro­ve­nien­za del­le immagini.

Gia­co­mel­li caval­ca le sue inten­se pas­sio­ni e pro­po­ne nuo­vi pro­ce­di­men­ti sen­za mai rin­ne­ga­re l’effetto di foto­gra­fia e cioè del­la resti­tu­zio­ne sul mate­ria­le sen­si­bi­le di un rea­le sia pure tra­sfor­ma­to ed ela­bo­ra­to; una sor­ta di recu­pe­ro del­la scrit­tu­ra del­la luce in un’accezione poli­va­len­te, inter­di­sci­pli­na­re, con­tem­po­ra­nea con l’arte e la cultura.

Mario Gia­co­mel­li par­te­ci­pa con gran­de deter­mi­na­zio­ne e rigo­re all’elaborazione del Mani­fe­sto dei Foto­gra­fi del Cen­tro Stu­di Mar­che, poi deno­mi­na­to il  Mani­fe­sto dei Foto­gra­fi del Pas­sag­gio di Fron­tie­ra (Senigallia,1995). Il Mani­fe­sto, coor­di­na­to da Enzo Car­li, vede la par­te­ci­pa­zio­ne di foto­gra­fi di varie ten­den­ze tra cui oltre a Gia­co­mel­li, Gian­ni Beren­go Gar­din, Fer­ruc­cio Fer­ro­ni, Gior­gio Cuti­ni, Lui­gi Erba.

Il Mani­fe­sto, pre­mio nazio­na­le Cit­tà di Fabria­no 2013, si col­le­ga al Mani­fe­sto del­la Bussola(1947) per pun­tua­liz­za­re il pro­ces­so di inno­va­zio­ne del­la foto­gra­fia con­tem­po­ra­nea. La pro­po­sta arti­sti­ca insi­ste sul­le impre­scin­di­bi­li istan­ze espres­si­ve del foto­gra­fo lega­te al pro­prio vis­su­to emo­zio­na­le, alle ten­sio­ni matu­ra­te lun­go il per­so­na­le per­cor­so sul­la via del­la cono­scen­za e del­la ricer­ca dell’originalità. “Pas­sag­gio indi­ca un azio­ne di oltre­pas­sa­men­to, il cam­bia­men­to di sta­to. Fron­tie­ra, ter­mi­ne dif­fe­ren­te da con­fi­ne, è come un velo attra­ver­so cui l’inconscio si apre alla pre­sa dell’uomo”(Galliano Crinella,Passaggio di Fron­tie­ra 1995–2004, Ed. Quat­tro­Ven­ti, Urbi­no 2013)

Il Mani­fe­sto come pun­to di par­ten­za di un inte­res­san­te per­cor­so esplo­ra­ti­vo che a soste­gno dell’impianto teo­ri­co, pre­ve­de­va come modus ope­ran­di una serie di Veri­fi­che con una dupli­ce chia­ve di let­tu­ra, indi­vi­dua­le e col­let­ti­va tra lin­guag­gio, spa­zio, tem­po, per­ce­zio­ne e bel­lez­za, colo­re e formattazione.

 Voglio sin­ce­ra­men­te augu­rar­mi che Mario Gia­co­mel­li sia ora e per sem­pre nel­la “real­tà inu­ti­le del­la poe­sia”, quel luo­go che non ha mai smes­so di cer­ca­re ma  dal qua­le tor­na­va ogni vol­ta con i rac­con­ti dell’anima.

Gra­zie caro e ama­to Maestro.

Enzo Car­li 

Mario Gia­co­mel­li — Mau­ro Neme­sio Ros­si — Gian­ni Beren­go Gardin