Giovanni Pascoli e la sua curiosa Macchina da scrivere

mac­chi­na da scri­ve­re monotasto

Il 6 apri­le 1912 mori­va a Bolo­gna Gio­van­ni Pasco­li, figu­ra emble­ma­ti­ca del­la let­te­ra­tu­ra ita­lia­na di fine Otto­cen­to, con­si­de­ra­to, insie­me a Gabrie­le D’An­nun­zio, il mag­gior poe­ta deca­den­te ita­lia­no. Nel 1867 accad­de l’episodio che segnò pro­fon­da­men­te la sen­si­bi­li­tà del poe­ta: l’assassinio del padre da par­te di igno­ti, men­tre ritor­na­va a casa. Que­sto avve­ni­men­to inter­rom­pe un perio­do di sere­na feli­ci­tà e sarà il pri­mo di una lun­ga serie di momen­ti nega­ti­vi che poco a poco con­di­zio­ne­ran­no in sen­so pes­si­mi­sti­co la visio­ne del mon­do e dell’umanità del poeta.

Nel­la sua casa museo a Castel­vec­chio Pasco­li si può osser­va­re la sua mac­chi­na per scri­ve­re una “The Glo­be typew­ri­ter”, altro nome del­la Ame­ri­can index. Pasco­li met­te­va in fun­zio­ne que­sta ori­gi­na­lis­si­ma mac­chi­na per scri­ve­re a indi­ce solo per quel­lo che ama­va defi­ni­re il suo “secon­do lavo­ro per sbar­ca­re il luna­rio”. Egli iden­ti­fi­ca­va que­sto lavo­ro inten­den­do la libe­ra pro­fes­sio­ne di sag­gi­sta e cro­ni­sta cul­tu­ra­le svol­ta sul­le testa­te dell’epoca.
Alla poe­sia inve­ce, defi­ni­ta “arte più indi­fe­sa”, riser­va­va la penna.