Il documentario che tra pochi istanti vi presenteremo è dedicato ad Adriano Olivetti. L’abbiamo girato pochi giorni fa ad Ivrea, non volevamo fare un vero e proprio ritratto, un ritratto compiuto, volevamo semplicemente fare un incontro con una personalità di primissimo piano nel mondo dell’industria e della cultura. Un incontro con un Olivetti vivo anzi direi nel pieno della sua attività sempre volta al futuro, i suoi più vicini collaboratori dicono che ad Olivetti quasi non interessava il passato, gli interessava solo o soprattutto il futuro. Così era Olivetti fino a qualche giorno fa, quando lo incontrammo ad Ivrea in occasione della realizzazione del nostro documentario. Oggi purtroppo questo nostro incontro acquista una inaspettata funzione di ricordo avremmo potuto mutare fisionomia al documentario dopo la notizia della tragica scomparsa di Adriano Olivetti, notizia che ci ha tutti commossi, ma preferiamo mostrarvelo così, come lo abbiamo veduto, come lo abbiamo conosciuto fino a pochi giorni fa, vivo e padrone di se stesso. Per questo non abbiamo mutato nulla al nostro documentario.
E’ una domenica di Febbraio questa, c’è neve fa molto freddo. Ci stiamo recando ad Ivrea per incontrare Adriano Olivetti, da pochi minuti abbiamo lasciato la stazioncina di Calus , stazioncina che precede immediatamente quella di Ivrea. Ivrea è la città di Adriano Olivetti, in un certo senso dovremmo dire il regno di Adriano Olivetti.
Mentre mi recavo quella domenica ad Ivrea e guardavo dal treno il paesaggio del Canavese, pensavo intanto alle difficoltà che avrei incontrato. La personalità di Adriano Olivetti è così complessa mi dicevo, che non sarà facile nel corso di una giornata coglierne tutti gli aspetti: industriale, uomo di cultura, politico, scrittore, ideologo e soprattutto suscitatore di un’infinità di iniziative ardite ed intelligenti. Che cosa non ha fatto nella sua vita Adriano Olivetti?
Prima di recarmi da Adriano Olivetti pensai di fare un giro per la città per rendermi conto dell’ambiente in cui egli trascorre buona parte del suo tempo. Non avevo mai visto Ivrea me la immaginavo però come una tipica città industriale pensavo che il suo ritmo di vita, il suo volto, il modo di camminare e di muoversi dei suoi abitanti si conformasse al ritmo imposto dalle sue industrie e invece più mi guardavo intorno più mi si faceva netta, precisa, l’impressione di essere capitato in una bella, piccola città fuori del mondo. I muri vecchi le strade strette e silenziose, gli abitanti gentili e riservati insomma come se Ivrea non fosse stata toccata dalla civiltà industriale. E così non potei fare a meno di fermarmi a guardare qualche scorcio, un balcone, una facciata, qualche deliziosa mostra di negozio: ecco una farmacia per esempio o un cinematografo con questa patetica scritta “ Il primo che diede in Italia rappresentazione di cinematografia , microscopia eraggi x “ . Mi accorsi poi che proprio qui su questo ponte vi è il confine invalicato della vecchia Ivrea e della Ivrea nuova, della città industriale ma intanto si era fatto tardi e dovevo affrettarmi all’appuntamento.
-E’ il direttore?
-Si sono il direttore.
-Cerco l’ingegnere Olivetti .
-Lei è il dottor Garrone?
-Si .
-Perfettamente!! E’ in ritardo ma ad ogni modo le do indicazioni così fa subito. Sempre diritto al semaforo a destra c’è Comunità.
-Grazie.
Incontrare Adriano Olivetti ad una riunione di comunità, la sua comunità, mi sembrò un’eccellente occasione per coglierlo in uno dei suoi aspetti più significativi.
A.Olivetti: “ Abbiamo così esaurito la seconda parte dell’ordine del giorno, ci troviamo di fronte ora ad un ordine che ci permette di dare al costo dei nostri lavori un’estensione maggiore. Io vorrei che dalla viva voce di voi oggi scaturissero gli elementi più importanti del vostro lavoro nella comunità del Canavese e soprattutto i problemi che sorgono dalla nuova metodologia …”
Stavo assistendo ad una riunione del consiglio della comunità del Canavese, quella parte del Piemonte che costituisce una specie di regione nella regione con caratteri geografici, economici, sociali ben distinti e specifici.
A.Olivetti : “..precisione del nostro lavoro nella aree e il coordinamento urbanistico degli interventi economici. Il terzo problema che vorrei fosse ancora discusso in questa giornata è anche il problema, secondo problema del coordinamento urbanistico, è quello che riguarda il piano intercomunale e lo stato dei lavori. Chiedo senz’altro alla Signorina Venturini, capogruppo degli assistenti sociali, di dire il suo pensiero sullo stato dei lavori qui nel Canavese.”.
Sig.na Venturini : “ E’ noto che in molti comuni del Canavese … la divisione urbanistica, essi sono stati molto utili per il nostro lavoro, hanno bisogno ora di essere aggiornati e mi rivolgo all’attenzione del consiglio generale e del presidente per chiedere se si ritiene opportuno che questi studi d’ambiente e il loro rinnovamento venga affidato al lavoro degli assistenti sociali “.
Da quello che potei capire dall’ultima parte delle discussioni a cui assistetti si stavano toccando tutti i problemi più importanti del Canavese : urbanistica, comunicazione, fonti di lavoro, specializzazione tecnica e professionale , propagande … ma soprattutto veniva messo l’accento sul problema umano. La tecnica al servizio dell’uomo e non viceversa. Questo principio doveva poi essermi confermato in mille modi diversi. Direi che in quello slogan “ la tecnica al servizio dell’uomo” potrebbe riassumersi tutta la complessa personalità di Adriano Olivetti. Intanto lo guardavo per cominciare a capirlo, tutto si sarebbe detto fuorché un capitano d’industria. Quel volto pallido, gentile, quel modo di parlare sommesso che evidenziava sicurezza di sé e delle proprie vocazioni e insieme come un impaccio una invincibile timidezza o piuttosto modestia. Tra poco la riunione sarebbe finita e lo avrei finalmente incontrato faccia a faccia. La cosa migliore per indurlo a sciogliersi da ogni riserbo sarebbe forse stato di chiedergli chiarimenti sulla sua comunità .
__________________________________________________________________________INTERVISTA
-Abbiamo assistito ingegnere ad una riunione del consiglio della comunità del Canavese come è composto questo consiglio?
-Il consiglio generale della comunità del Canavese è composto da tre gruppi anzi sono gli eletti di tre gruppi, 44 sindaci comunitari Canavesi eleggono un primo gruppo, un secondo gruppo è eletto dai centri sociali che sono circa 70, il terzo gruppo invece sono i rappresentati della lega di comunità di fabbrica cioè dei lavoratori delle varie industrie filocanavese.
-E quali sono ingegnere i rapporti tra questa comunità del Canavese che è quasi un’esemplificazione pratica dell’ideologia comunitaria e l’ideologia stessa?
-Ma noi qua abbiamo voluto il filocanavese appunto per la difficoltà di quest’ideologia … creare uno strumento vivo, un progetto pilota, un laboratorio sociale in cui nella realtà nella vera vita si da luogo ad un’azione comunitaria un’azione in cui ciascuno nel proprio ambito e nella propria funzione lavora ad un fine comune e coordinato che è la caratteristica vitale dell’ideologia comunitaria .
- E adesso ingegnere dove stiamo andando?
-Dunque qui abbiamo i fabbricati della produzione delle macchine da calcolo, quello delle macchine da scrivere e ci troviamo qui, lei vedrà alla propria sinistra abbiamo il fabbricato …
Dopo avermi indicato le fabbriche e gli edifici aziendali della nuova Ivrea mi disse che mi avrebbe portato innanzitutto nella biblioteca dell’azienda, un’istituzione a cui è particolarmente attaccato e che costituisce un suo segreto quasi un non confessato orgoglio me lo disse con questo modo tipico di parlare quasi retorico quasi dimesso. Il fatto è che Olivetti non si abbandona mai a ciò che si è già fatto, l’importante per lui è sempre ciò che ancora si deve fare.
-Ha detto che ha una biblioteca importante, di quanti volumi si compone ingegnere?
-Questa biblioteca è divisa in tre sezioni, c’è una sezione culturale, una sezione scientifica e sociale ed una sezione ricreativa. Tutte le tre sezioni comprendono oltre i 50.000 volumi almeno .
-Quindi è una cosa notevole. Ma è una biblioteca viva veramente? Cioè vengono qui a leggere gli operai?
-Vengono moltissimo ora le spiegherò.. prima di tutto questa biblioteca non è mica solo una collezione di libri, fa parte di un organismo più complesso che è un centro culturale con un insieme di corsi per giovani, per adulti, corsi complementari, mostre, conferenze. Si tenta di educare i giovani alla comprensione dei valori della cultura.
-Quindi i risultati sono stati decisamente positivi?
-Noi abbiamo, in 15 anni di lavoro, incominciato con libri anche modesti …
La biblioteca è quindi molto di più di una biblioteca aziendale e infatti è aperta a tutti, una vera e propria biblioteca pubblica. Agli inizi le pretese erano modeste, si trattava di diffondere il gusto della lettura e perciò si cominciò dai libri e dai giornali più popolari. Oggi trovi tutte le opere migliori, i classici, i saggi più recenti più significativi, tutte opere scelte benissimo e senza nessuna discriminazione ideologica e politica. E’ una vera e propria biblioteca, non uno strumento di asserimento aziendale e funziona davvero come ci ha detto Olivetti. Funziona anche come stimolo culturale, un libraio di Ivrea per esempio ci ha detto che le vendite dei libri, via via che la biblioteca Olivetti si ingrandisce, invece di diminuire aumentano.
-Senta ingegnere dato che stiamo parlando di libri, mi pare che sia arrivato il momento di parlare anche dei suoi libri che costituiscono un aspetto importante per, diciamo così, delineare un suo ritratto. Per esempio l’ultimo libro che è uscito recentissimamente, mi pare 3 o 4 mesi fa vero?
-No è più recente, è della fine dell’anno. Questo è semplicemente una raccolta di scritti agli urbanisti, ai comunitari …
-Posso vederli i volumi?
-Ma volentieri.. dottor …. mi fa il favore di portarmi qui l’ordine politico e le altre cose mie se non le dispiace?
-Diceva allora che l’ultimo libro è un libro di occasione in un certo senso?
-Ma si perché è una raccolta di scritti e discorsi degli ultimi anni e completa, forse anche spiega i temi fondamentali dei precedenti . Grazie mille dottore.
-Questo è l’ultimo vero?
-Questo è esattamente l’ultimo .
-“Città dell’uomo”
-Si. Questo è un complemento, forse anzi spiega meglio in modo forse più semplice le cose fondamentali dell’ordine politico che ho scritto durante l’inverno del ’44 / ’45. Quel difficile inverno in cui io mi trovavo in Svizzera,in Engadina.
-Come mai si trovava in Svizzera?
-Ma in quel tragico inverno era lassù per me un’oasi di tranquillità. Mi trovavo lì perché qualche mese prima ero stato costretto a scappare dall’Italia in seguito all’arresto che..
-Ah lei è stato arrestato nel ‘43?
-Esattamente nel ‘43 e uscii dal carcere di Roma, dal Regina Coeli, la sera prima che i tedeschi occupassero il carcere stesso.
-Quindi diciamo che questo libro oltre ad essere importante ideologicamente è importante anche da un punto di vista biografico perché le ricorda un periodo particolarmente significativo?
-Direi di si. Naturalmente penso che la mano della provvidenza abbia certamente avuto la sua parte, non credo che avrei mai trovato in tutta la mia vita un anno di tranquillità in montagna per scrivere un libro e riordinare dei pensieri che avevo “preparato” negli anni precedenti .
-Invece ingegnere questa è la sezione riviste ovviamente?
-Eh no, questa è una parte della sezione riviste, qui ci sono raccolte le riviste di sociologia e in generale di umanistica , di dottrine politiche, di storia.
Le riviste tecniche e scientifiche, mi ha detto di Adriano Olivetti sono ben 400, ma ancora più importante il numero delle riviste culturali: più di 350 titoli. Insomma tutte le riviste italiane e straniere più importanti. Quasi 800 titoli di riviste costituiscono un patrimonio imponente, un formidabile strumento culturale. Questa è proprio una rivelazione, una rivelazione che lascia perplessi in questa Italia in cui si scrive tanto e si legge così poco.
-Queste sono riviste di architettura?
-Si qui c’è una magra presentanza delle riviste non solo di architettura ma anche di disegno industriale .
-Queste sono le fabbriche Olivetti? E’ molto bello da qui … vogliamo uscire?
Sul grande viale prospettano gli edifici delle fabbriche, da quella modernissima di tre anni fa a quella del 1949, del 41, del 34, del 1926 anno in cui Adriano Olivetti inizia la collaborazione con il padre nella direzione dell’azienda. Da allora Adriano si circonda dei migliori architetti ed è il primo ad introdurre coraggiosamente in Italia la nuova edilizia industriale, più moderna, più fresca, più allegra, più bella. Quando Camillo Olivetti iniziò la sua attività la prima fabbrica accoglieva 20 operai, allora Adriano aveva appena 7 anni. Sfogliare oggi queste vecchie fotografie di un’età pioneristica ormai definitivamente tramontata da un certo sgomento. La lotta era difficile. Nel 1911 nascerà la prima macchina da scrivere Italiana ma i costi erano ancora alti e la concorrenza americana formidabile. L’ingegner Camillo non si scoraggiò, come per dire il figlio Adriano, triplicò i suoi sforzi nel campo commerciale e cercò altri soci. Quando Adriano Olivetti parla così si capisce che non è soltanto un ideologo e un sognatore ma un uomo concretissime con vedute realistiche da autentico business man. Ma non è delle fabbriche che vogliamo parlare. Il contributo di Adriano Olivetti in questo senso è stato fortissimo e determinate, ma ci sembra ancora più importante, per capire la personalità di Olivetti, sottolineare il suo sforzo per far si che il prodotto industriale nato come qualcosa di semplicemente utile, diventasse anche qualcosa di bello. Bellezza e utilità non sono sempre andate d’accordo, ma questo è appunto lo sforzo della civiltà industriale più illuminata, far sì che bello e utile vadano finalmente d’accordo. Queste macchine complicate che escono dalla fabbrica entreranno nelle nostre case e dovranno portare anche una nota di bellezza. Anche in questo campo Adriano Olivetti può vantare in Italia un suo primato. Il tema della bellezza sia nel campo dell’industria che nel campo dell’architettura, dell’ urbanistica è sempre stato al centro delle sue preoccupazioni. La bellezza, mi ha detto è un momento essenziale dello spirito, senza la bellezza, l’esperienza della bellezza un uomo non sarebbe completo. Ora anche una macchina da scrivere può essere bella. Questa per esempio, è stata inclusa da un istituto tecnologico americano tra i 100 prodotti industriali esteticamente più validi. Ed ecco che nella progettazione dello stupendo nido per i figli dei dipendenti, questa preoccupazione estetica è ancora presente. Non basta accogliere i bambini, bisogna educarli alla bellezza , farli vivere in ambienti belli, farli esprimere liberamente nei giochi, nei disegni in modo che la loro personalità si formi completamente. Il tema della personalità è un tema sempre ricorrente in Adriano Olivetti. Era inevitabile che questo discorso mi portasse a domandargli chiaramente il suo pensiero sull’architettura, anzi precisamente in che senso l’architettura si distingua per lui dalle altre arti tradizionali.
-L’architettura è la forma in cui si esprime una certa società, le altri arti invece sono un’espressione libera, una manifestazione dello spirito umano e quindi indipendentemente dal tempo e dal luogo.
L’architettura come arte impegnata, un’arte che vive in funzione degli uomini che la adoperano e che la abitano. Così ci siamo recati alla fine in uno degli ambienti della nuova fabbrica.
‑E’ vero ingegnere che a lei capita di venire qui in fabbrica più spesso di domenica che non nei giorni feriali quando ci sono operai e tecnici a lavoro?
-E’ vero , è vero. La ragione si ricava da certe esperienze molto vecchie, quando avevo 13 anni mio padre mi mandò a lavorare in un reparto di fabbri, nell’estate del ‘14 e ho faticato molto a lavorare nella fabbrica perché il lavoro di queste macchine non mi attraeva, soprattutto non fissava la mia attenzione, la mente poteva vagare e si stancava.
-Lo guardava con un certo sospetto questo aspetto il lavoro manuale?
-Non è un sospetto è una specie di ritegno, è difficoltà veramente a capire come si potesse stare delle ore alla stessa macchina senza imprigionare lo spirito .
-Nel senso lei preferisce vederla tutta ferma la macchina?
-Eh no! Quando la fabbrica è ferma i problemi della tecnica e le macchine spariscono e il problema fondamentale “uomo” diventa più chiaro. E’ quello il problema che mi prende quando sono a fabbrica chiusa, a fabbrica ferma.
-Ma non si deve rimettere un po’ in movimento ? dico anche per tutte esigenze…
-No… ha ragione ci sono questi trasportatori che con un semplice bottone io farò mettere in moto. Ecco. vedrà che questo sistema trasportatore …
-Lei mi parlava delle sue esperienze infantili direi nella fabbrica,vuole continuare a raccontarmi?
-Mah … per molti anni questo problema di conciliare l’uomo alla macchina mi ha affaticato e quando ho cominciato a lavorare seriamente nella direzione, ho cercato quali erano i mezzi per adattare l’uomo alla macchina in questo ambiente e mi sono persuaso che non esiste un ordine. E’ troppo chiaro che è un problema di estrema complessità dovremmo così cercare di capire la questione fondamentale, la questione del rapporto dell’uomo dentro la fabbrica e fuori dalla fabbrica.
-Lei prima ci ha parlato di alcune sue esperienze da ragazzo, la pregherei adesso di tornare un po’ più indietro nel tempo, si ricorda quando nacque la prima macchina da scrivere Olivetti?
- Mi ricordo che mio padre espose il primo campione all’esposizione di Torino nel 1911 . Proprio oggi l’Italia sta celebrando i cento anni del Risorgimento e ripete l’esperienza del cinquantennio di Torino. La prima macchina uscita da questa fabbrica viene esposta con molto interesse.
-E come mai suo padre si decise a produrre proprio macchine da scrivere?
-Io credo perché prima di fare macchine da scrivere produceva strumenti di misura, soprattutto contatori elettrici i quali erano distribuiti in massa alle grandi compagnie di distribuzione dell’energia elettrica che sono consumatori di contatori e quindi mio padre pensava che questo tipo di rapporto non lo rendesse abbastanza indipendente, era un rapporto di collaborazione ma anche di dipendenza e volle produrre qualcosa come una macchina, che si vende una per una a tante persone diverse. Questa varietà di distribuzione gli creava la sua indipendenza a cui lui teneva moltissimo come tutti i pionieri dell’altro secolo era un grande individualista.
- Vogliamo andare a ritrovare adesso la vecchia Ivrea dove abitava la sua famiglia?
E’ stato lo stesso Adriano Olivetti a volermi mostrare la vecchia Ivrea, quella dove nacque 59 anni fa.
-E questa è la casa dove stava mio nonno ed il mio bisnonno, anzi posso anche ricordarmi che mio nonno aveva qui un negozio di tessuti e qui c’è anche, quasi potrei elencare, una pagina di storia economica perché mio nonno vendette questo negozio per comprare delle terre e mio padre vendette le terre per comprare le macchine e fare la fabbrica.
- Cioè un’evoluzione in sintesi …
- Ah scusi, oggi sta passando il carnevale di Ivrea …
- Sono i pifferi?
-Si si! Sono le prime manifestazioni del carnevale di Ivrea, quello che comincia a Gennaio e si conclude nelle giornate…
- Carnevale serissimo a quanto mi dicono vero?
-Molto molto importante qui ad Ivrea perché è una tradizione radicata. Buongiorno caro Generale!
-Lei lo ha chiamato generale ma è generale sul serio?
-Si durante questi giorni di carnevale il nostro comandante ha pieni poteri ed autorità sulla città, libera i prigionieri, supera l’autorità del sindaco.
-Quindi non è uno scherzo questo carnevale di Ivrea?
-No, è molto serio ha delle radici profonde nell’animo popolare e quindi è una cosa veramente sentita, ha una sua tradizione giacobina repubblicana.
- Vi devo salutare perché gli ufficiali mi attendono.
-Arrividerla.
-Lei diceva che ha un’origine proprio popolare, proprio giacobina addirittura?
- Qui tutti i generali portano le berrette rosse. Un americano,uno sprovveduto americano che venne qui al carnevale nel ’47 , credette che c’era la rivoluzione.
Ad Ivrea stavano già cominciando le manifestazioni carnevalesche e intanto finì così, su quel tono semplice e cordiale la mia passeggiata per la città in compagnia di Adriano Olivetti.Ora su questo nostro incontro con Adriano Olivetti ci sembra di aver detto poco o niente della sua personalità, non abbiamo parlato della sua educazione intellettuale, della sua partecipazione al mondo della cultura, della sua casa editrice di Comunità che pure occupa un posto tutt’altro che trascurabile nel mondo dell’editoria italiana. Abbiamo appena sorvolato sulla prodigiosa figura di industriale, abbiamo taciuto dell’espansione industriale all’estero, per esempio, dove ha sempre portato quei caratteri inconfondibili di bellezza e di eleganza che ci piacerebbe definire addirittura Olivettiani. Abbiamo trascurato le sue preoccupazioni sociali che pure fanno di lui uno degli esponenti più simpatici del capitalismo illuminato e progressista. Abbiamo parlato sì del suo amore per l’architettura ma si può dire che ci siamo fermati alle soglie del discorso, non abbiamo ricordato per esempio il Piano Regolatore della Valle d’Aosta, non abbiamo detto che era presidente dell’Istituto Nazione di Urbanistica e così via. Abbiamo detto poi che l’attività di Olivetti è svariatissima ma non abbiamo neanche ricordato che egli era vicepresidente del comitato UNRRA-CASAS, una sua iniziativa. Ma come si faceva del resto, nel breve giro di mezz’ora, a condensare, a dire tante cose. Se fosse risultata, in qualche modo l’umanità di Adriano Olivetti, la sua semplicità, la sua capacità umana di comprendere, il suo realismo unito ad una inguaribile inclinazione fantastica, già ci sembrerebbe di aver fatto molto. Se fossimo riusciti cioè a dare di lui un’immagine sommaria sì, ma genuina, autentica già ci sentiremmo forse in piccola parte consolati dalla sua improvvisa ed inaspettata scomparsa.