Io, assunto quel giorno” Domenico Maletti, milanese, classe 1942

Dome­ni­co Maletti

San Giu­lia­no, la casa del com­pu­ter: “L’Olivetti e il pri­ma­to sugli Usa, il sogno spez­za­to dell’Elea 9003 di mister Tchou”

A Bor­go­lom­bar­do nasce­va il pri­mo cal­co­la­to­re a tran­si­stor che fece la sto­ria. Arte­fi­ce, l’ingegnere ita­lo-cine­se mor­to in un inci­den­te nel 1961. “Io, assun­to quel giorno”

Le cose nuo­ve si fan­no solo con i gio­va­ni. Solo i gio­va­ni ci si but­ta­no den­tro con entu­sia­smo, e col­la­bo­ra­no in armo­nia sen­za per­so­na­li­smi e sen­za gli osta­co­li deri­van­ti da una men­ta­li­tà con­sue­tu­di­na­ria”. Ne era con­vin­to l’ingegnere ita­lo-cine­se Mario Tchou, clas­se 1924, che riu­scì a bat­te­re sul tem­po l’Ibm idean­do, nel 1959, l’Elea 9003 dell’Olivetti, il pri­mo cal­co­la­to­re al mon­do total­men­te a tran­si­stor. Un appa­rec­chio che ha segna­to la sto­ria dell’elettronica e che, non a caso, ven­ne orgo­glio­sa­men­te pre­sen­ta­to all’allora Pre­si­den­te del­la Repub­bli­ca Gio­van­ni Ron­chi. Il per­cor­so che por­tò alla sua rea­liz­za­zio­ne ini­ziò nel labo­ra­to­rio Oli­vet­ti di Bar­ba­ri­ci­na, nel Pisa­no, suc­ces­si­va­men­te tra­sfe­ri­to a Bor­go­lom­bar­do, tra San Giu­lia­no e San Dona­to Mila­ne­se. E pro­prio nel Cen­tro di ricer­che elet­tro­ni­che di Bor­go­lom­bar­do il team di Tchou riu­scì a per­fe­zio­na­re l’Elea. Pochi anni dopo, nel 1963, il com­par­to «ricer­che» fu tra­sfe­ri­to a Pre­gna­na Mila­ne­se, il resto del­lo sta­bi­li­men­to san­giu­lia­ne­se seguì le sor­ti dell’Olivetti, col pas­sag­gio dap­pri­ma a Gene­ral Elec­tric, poi a Honey­weel, quin­di a Bull. Lo sta­bi­le di via Cer­to­sa era già dismes­so da tem­po quan­do, nel 2008, ven­ne demo­li­to per fare posto a un com­ples­so resi­den­zia­le. Ora i Comu­ni di San Giu­lia­no e San Dona­to orga­niz­za­no una serie di even­ti com­me­mo­ra­ti­vi per cele­bra­re quel­la che fu un’eccellenza indu­stria­le. Dopo l’apposizione di una tar­ga dove sor­ge­va il labo­ra­to­rio, l’altro gior­no il muni­ci­pio di San Dona­to ha ospi­ta­to una con­fe­ren­za sull’AI, a cura dell’ingegnere di Fast­web Ales­san­dro Per­ri­no e alla pre­sen­za degli stu­den­ti del­le supe­rio­ri. Mar­te­dì, l’ultimo appun­ta­men­to per un incon­tro-dibat­ti­to sull’informazione quan­ti­sti­ca. Il rela­to­re sarà Mario Mar­ti­nel­li, docen­te del Poli­tec­ni­co di Milano.

San Giu­lia­no Mila­ne­se (Mila­no) – Quel­la dell’Oli­vet­ti è una sto­ria tut­ta ita­lia­na, fat­ta di entu­sia­smo e sfi­de avve­ni­ri­sti­che. A rac­con­ta­re il cli­ma che si respi­ra­va in que­gli anni è Dome­ni­co Malet­ti, mila­ne­se, clas­se 1942. Con in tasca un diplo­ma di peri­to elet­tro­tec­ni­co, ven­ne assun­to nel­la sto­ri­ca azien­da del­le mac­chi­ne da scri­ve­re e da cal­co­lo con un ruo­lo tec­ni­co-ammi­ni­stra­ti­vo, per occu­par­si del­la pia­ni­fi­ca­zio­ne dei costi e del lavo­ro. Era il 1961. Oggi Malet­ti è pre­si­den­te dell’asso­cia­zio­ne Poz­zo di Mie­le, che rag­grup­pa ex lavo­ra­to­ri e sim­pa­tiz­zan­ti dell’Olivetti. Pro­prio l’associazione sta affian­can­do i Comu­ni di San Giu­lia­no e San Dona­to nell’organizzazione del­le ini­zia­ti­ve in ricor­do del labo­ra­to­rio di ricer­che di Borgolombardo.

Come arri­vò in Olivetti?

 “Ave­vo un altro impie­go, ma non ne ero sod­di­sfat­to. Feci doman­da all’Olivetti dopo che un com­pa­gno di clas­se mi segna­lò che cer­ca­va­no per­so­na­le. E fu lo stes­so inge­gner Mario Tchou a far­mi il col­lo­quio di assun­zio­ne. “Secon­do lei, quan­to pesa­no le tre pal­li­ne che ten­go in mano?”, mi doman­dò. Mi chie­se anche dei miei hob­by. Non fece alcu­na doman­da tec­ni­ca, né vol­le vede­re voti e pre­sta­zio­ni sco­la­sti­che. Que­sto mi col­pì. Mi sem­brò una per­so­na fuo­ri dagli schemi”.

Cosa ricor­da del suo pri­mo gior­no di lavoro?

 “Fu tri­stis­si­mo, pur­trop­po. Mi pre­sen­tai a Bor­go­lom­bar­do per pren­de­re ser­vi­zio e vidi che nell’atrio del labo­ra­to­rio era­no sta­te posi­zio­na­te due bare. Una era di Tchou, l’altra del suo auti­sta. Era­no mor­ti due gior­ni pri­ma in un dram­ma­ti­co inci­den­te stra­da­le. L’anno pri­ma, nel 1960, era scom­par­so Adria­no Olivetti”.

Que­sti even­ti gua­sta­ro­no il cli­ma che si respi­ra­va in azienda?

No, a mio avvi­so. Era­va­mo una squa­dra gio­va­ne, moti­va­ta. In azien­da regna­va un’atmosfera pio­nie­ri­sti­ca. Ci sen­ti­va­mo degli spe­ri­men­ta­to­ri, pron­ti a esplo­ra­re nuo­ve dimensioni”.

Par­lia­mo dell’Elea 9003. Per­ché era un model­lo all’avanguardia?

 “Il tran­si­stor svol­ge­va la stes­sa fun­zio­ne del­le val­vo­le ter­mo­io­ni­che, ma con un ingom­bro mino­re e un minor dispen­dio di ener­gia. L’Elea, che era un ela­bo­ra­to­re di dati per gesti­re i pro­ces­si azien­da­li, ha rap­pre­sen­ta­to un pas­sag­gio epo­ca­le ver­so com­pu­ter di dimen­sio­ni sem­pre più ridot­te e con pro­ce­di­men­ti sem­pre più avanzati”.

Un’intuizione pre­zio­sa.

 “È anche gra­zie a que­sto per­cor­so, se oggi pos­sia­mo usa­re i più sofi­sti­ca­ti dispo­si­ti­vi elet­tro­ni­ci e par­la­re d’intelligenza arti­fi­cia­le. Oggi più che mai, elet­tro­ni­ca e infor­ma­ti­ca pos­so­no rap­pre­sen­ta­re del­le oppor­tu­ni­tà di lavo­ro per i gio­va­ni, se ade­gua­ta­men­te formati”.

Cosa fa l’associazione Poz­zo di Miele?

 “Attra­ver­so con­fe­ren­ze, semi­na­ri e atti­vi­tà nel­la scuo­le, con­tri­buia­mo a tene­re viva la memo­ria di que­sta par­te del­la sto­ria indu­stria­le ita­lia­na. L’associazione esi­ste da 8 anni. Abbia­mo 200 soci, ma non tut­ti ope­ra­ti­vi, anche per ragio­ni anagrafiche”.ù

Come arri­vò in Olivetti?

Ave­vo un altro impie­go, ma non ne ero sod­di­sfat­to. Feci doman­da all’Olivetti dopo che un com­pa­gno di clas­se mi segna­lò che cer­ca­va­no per­so­na­le. E fu lo stes­so inge­gner Mario Tchou a far­mi il col­lo­quio di assun­zio­ne. “Secon­do lei, quan­to pesa­no le tre pal­li­ne che ten­go in mano?”, mi doman­dò. Mi chie­se anche dei miei hob­by. Non fece alcu­na doman­da tec­ni­ca, né vol­le vede­re voti e pre­sta­zio­ni sco­la­sti­che. Que­sto mi col­pì. Mi sem­brò una per­so­na fuo­ri dagli sche­mi”.