La Olivetti tra gli anni della M1 e della M20

da Peri­di­co “Foto­gra­ria Com­pa­ra­ta” Mar­zo 1982

di Mau­ro Neme­sio Rossi 

L’im­ma­gi­ne di un’a­zien­da nasce dal­la qua­li­tà del suo pro­dot­to, dal­l’ef­fi­cien­za degli uomi­ni, da una pub­bli­ci­tà razio­na­le e si costrui­sce a poco a poco: quel­la dura­tu­ra non è mai una folgore.

Che i pre­sup­po­sti c’e­ra­no tut­ti, sin dal sor­ge­re del­l’at­ti­vi­tà, era cer­ta­men­te indub­bio, per la gran­dez­za del­l’uo­mo e la sua intel­li­gen­za, per i lun­ghi stu­di fat­ti con umil­tà e dedi­zio­ne a fian­co di Gali­leo Fer­ra­ris e soprat­tut­to in mez­zo alla sua gen­te del Cana­ve­se. Camil­lo Oli­vet­ti, fon­da nel 1908 la sua fab­bri­ca di mac­chi­ne da scri­ve­re, natu­ra­le tra­va­glio di lun­ghi viag­gi in Ame­ri­ca e con­ti­nui ten­ta­ti­vi di avvi­ci­na­men­to al pro­dot­to che dove­va esse­re com­ple­ta­men­te nuo­vo da quel­lo ame­ri­ca­no del­la Wil­liams che ave­va com­mer­cia­to fin dal 1894, e supe­rio­re per qua­li­tà alle Under­wood e alle Royal che in quel perio­do già pro­du­ce­va­no set­tan­ta­mi­la e ven­ti­mi­la uni­tà all’anno.

La M1 non imi­ta­va nien­te di simi­le sul mer­ca­to, i suoi mec­ca­ni­smi era­no del tut­to ori­gi­na­li anche se com­pli­ca­ti e costo­si. Su un foglio di car­ta inte­sta­ta alla sua pri­ma fab­bri­ca mila­ne­se di via Brog­gi 4, scri­ve­va una let­te­ra dat­ti­lo­scrit­ta alla moglie: “La mac­chi­na non è anco­ra per­fet­ta… ma cre­do che in poco tem­po potrò ren­der­la buo­na quan­to le miglio­ri mac­chi­ne del gene­re…”; da quel­la let­te­ra pri­ma che la mac­chi­na diven­tas­se un pro­dot­to com­mer­cia­le pas­sa­no due anni, infat­ti è alla espo­si­zio­ne uni­ver­sa­le di Tori­no del 1911 che nel pic­co­lo stand due M1 era­no offer­te alla curio­si­tà dei visi­ta­to­ri. Quel­lo che dove­va­no mostra­re era l’im­ma­gi­ne di un Camil­lo Oli­vet­ti e di un’a­zien­da nascen­te atten­ta all’ac­cu­ra­tez­za, all’in­ge­gno­si­tà e all’a­van­guar­dia del­la lavo­ra­zio­ne. Era­no gli anni del­la flo­ri­dez­za eco­no­mi­ca Ita­lia­na e l’av­ve­ni­re si mostra­va sicu­ro. II nome Oli­vet­ti inco­min­cia­va ad affac­ciar­si sui bal­co­ni del­le filia­li di Mila­no e suc­ces­si­va­men­te a Geno­va e Napoli.

Il tut­to cre­sce­va con len­tez­za, spe­cie il ciclo eco­no­mi­co. “Un tec­ni­co par­ti­va da Ivrea e gira­va l’I­ta­lia per visi­ta­re le filia­li, anch’e­gli era espo­sto alle vicis­si­tu­di­ni del­l’im­pre­sa al pun­to di dover bada­re per­fi­no alle spe­se per­so­na­li e cer­ca­re di ridur­re i con­ti del vit­to e del­l’al­log­gio. Più tar­di amò a sua vol­ta ricor­da­re un epi­so­dio sin­to­ma­ti­co di que­gli anni. A Geno­va, dove era anda­to per le soli­te incom­ben­ze, incon­trò per caso l’in­ge­gnie­re. Camil­lo che gli chie­se dove fos­se allog­gia­to. Quan­do sep­pe che il suo dipen­den­te era sce­so in un alber­go assai mode­sto Oli­vet­ti lo tra­sci­nò in piaz­za De Fer­ra­ri e mostran­do­gli L’hotel “Ita­lia” gli dis­se: “Sta­se­ra ver­rai qui oggi che ce lo pos­sia­mo per­met­te­re, dob­bia­mo trat­tar­ci bene”.

Quel­lo stes­so tec­ni­co comin­cia­va a fre­quen­ta­re uffi­ci e mini­ste­ri e qua­si ovun­que incon­tra­va dat­ti­lo­gra­fe che gli lascia­va­no capi­re che un omag­gio per­so­na­le del­la dit­ta alla cui mac­chi­na esse pas­sa­va­no la loro gior­na­ta non sareb­be giun­to ad esse sgra­di­to. Rien­tra­to ad Ivrea egli ne par­la­va all’ingegniere.Camillo che pare­va piut­to­sto restio a sod­di­sfa­re quel­le sol­le­ci­ta­zio­ni. Final­men­te riu­scì a con­vin­cer­lo a fare un fer­ma­car­te nero a mol­le con le ini­zia­li ICO Indu­stria Camil­lo Olivetti”

Era­no le basi del­l’im­ma­gi­ne che l’a­zien­da dove­va dar­si nel suo asset­to defi­ni­ti­vo e che tro­va­ro­no il cul­mi­ne nel­la poli­ti­ca di Adria­no Olivetti.

For­se il pri­mo cata­lo­go uffi­cia­le stam­pa­to in bel­lo sti­le fu quel­lo del­la pre­sen­ta­zio­ne del Nuo­vo pro­dot­to alla Fie­ra di Bru­xel­les del 1920. Un album di 26 pagi­ne nel for­ma­to 23x27 con la coper­ti­na in car­ton­ci­no mar­ro­ne e la scrit­ta Oli­vet­ti in cor­si­vo, sovraim­pres­sio­ne oro, in bas­so il nome Ivrea, tra paren­te­si        Italia.

Lo stes­so carat­te­re com­pa­ri­va sul por­ta­car­ta del­la M20, una mac­chi­na qua­si sen­za car­roz­ze­ria che lascia­va intra­ve­de­re ai lati cine­ma­ti­smi atti alle funzioni.

L’al­bum è dedi­ca­to a tut­ti colo­ro impos­si­bi­li­ta­ti a visi­ta­re le bel­le offi­ci­ne di Ivrea dove la mac­chi­na da scri­ve­re “Oli­vet­ti” è costrui­ta. Le poche righe del­la pri­ma pagi­na ter­mi­na­no con la scrit­ta pub­bli­ci­ta­ria:             “Nos usi­nes bien qu’el­les soient par­mi les plus gran­des en Euro­pe, ne peu­vent cer­tai­ne­ment riva­li­ser, par leurs dimen­sions, avec les plus for­tes mai­sons d’A­me­ri­que, nous n’a­vons d’ail­leurs par l’am­bi­tion de fabri­quer le plus grand nom­bre de machi­nes. Tous nes effort se sont ten­dus vers ce resul­tat: Con­strui­re la meil­leu­re machi­ne. Nous croyons fer­me­men­te avvir attaint ce but”.

E cer­ta­men­te pote­va ben dir­lo! La fab­bri­ca dal 1908 in poi era cre­sciu­ta e negli anni del­la pri­ma guer­ra mon­dia­le ave­va affi­na­to i suoi tec­ni­ci, ave­va attua­ti siste­mi di lavo­ra­zio­ne nuo­vi, ave­va accre­sciu­to il baga­glio tec­no­lo­gi­co e cul­tu­ra­le di tut­te le mae­stran­ze pre­di­spo­si­zio­ne alla dop­pia atti­vi­tà di lavo­ro, i con­ta­di­ni-mina­to­ri, i con­ta­di­ni-arti­gia­ni, diven­ta­no ope­rai-con­ta­di­ni, aiu­ta­ti in que­sta tra­sfor­ma­zio­ne dal­le moder­ne mac­chi­ne agricole’ ‘.

L’u­sci­ta del­la M20 coin­ci­de con l’an­no del­le rivol­te ope­ra­ie ed era sta­ta pre­ce­du­ta dal­la sospen­sio­ne e dal­la ricom­par­sa del set­ti­ma­na­le “L’A­zio­ne Rifor­mi­sta” diret­to da Giu­sep­pe Foa dal­le cui pagi­ne l’in­ge­gnie­re. Camil­lo Oli­vet­ti ave­va annun­zia­to l’a­de­sio­ne all’U­nio­ne Socia­li­sta Ita­lia­na in una taci­ta pole­mi­ca con i socia­li­sti che non ave­va­no tro­va­to un equi­li­brio, tra i dove­ri d’i­ta­lia­ni e mili­tan­ti. Sul­lo stes­so set­ti­ma­na­le lo stes­so ing. Camil­lo espo­ne­va le sue tesi eco­no­mi­che in occa­sio­ne del­la dif­fi­ci­le reces­sio­ne che si attraversava.

In gros­set­to ed incor­ni­cia­te si pote­va­no leg­ge­re le fra­si: “Gli Ita­lia­ni deb­bo­no dare pre­fe­ren­za ai pro­dot­ti nazio­na­li. Gli Indu­stria­li deb­bo­no pro­dur­re sol­tan­to mer­ce otti­ma a prez­zi one­sti. I Com­mer­cian­ti deb­bo­no ven­de­re soprat­tut­to mer­ce ita­lia­na accon­ten­tan­do­si di gua­da­gni limitati”.

A que­ste mas­si­me egli pote­va riba­di­re qua­le dove­va esse­re “La men­ta­li­tà del pro­dut­to­re” affer­man­do: “La men­ta­li­tà di un indu­stria­le che voglia meri­ta­re tale nome ed esse­re ono­ra­to ed ono­re­vo­le, dovreb­be esse­re quel­la di un pro­dut­to­re e di un orga­niz­za­to­re non quel­la di uno spe­cu­la­to­re. Lo sco­po pre­ci­so che un indu­stria­le deve pre­fig­ger­si è quel­lo che la sua effi­cien­za pro­du­ca mol­to bene, così da crear­si una buo­na repu­ta­zio­ne. L’i­dea del gua­da­gno deve esse­re in secon­da linea.
Suc­ce­de per l’in­du­stria­le serio quel­lo che suc­ce­de per l’ar­ti­sta che deve mira­re alla per­fe­zio­ne del­la sua ope­ra più che al lucro che da essa ne rica­ve­rà. Per l’in­du­stria­le come per l’ar­ti­sta il gua­da­gna­re è cer­ta­men­te una neces­si­tà, ma si deve in ogni cosa riflet­te­re che l’u­ti­le sarà tan­to mag­gio­re quan­to più per­fet­to riu­sci­rà il lavo­ro e per otte­ne­re ciò non deve esser­vi altra mira che la per­fe­zio­ne dei pro­dot­ti. Il pro­dur­re bene è più dif­fi­ci­le e soprat­tut­to richie­de più tem­po e più pra­ti­ca che il pro­dur­re male, ma esso è l’u­ni­co modo one­sto e sano e a lun­go anda­re anche il più pro­fit­te­vo­le. Que­sto meto­do è poco apprez­za­to da mol­ti che si chia­ma­no indu­stria­li per­ché han­no inve­sti­to dei capi­ta­li nel­le indu­strie eso­no espo­nen­ti di Ban­chie­ri che nel­le indu­strie altro non vedo­no che un affa­re; ma que­sti più che indu­stria­li sono affa­ri­sti e costi­tui­sco­no una vera cala­mi­tà per il buon nome dell’Italia.
Infat­ti pro­prio ad essi si deve impu­ta­re il fat­to che i nostri indu­stria­li non han­no quel­la esti­ma­zio­ne che si meri­te­reb­be­ro se sapes­se­ro svin­co­lar­si dai meto­di affa­ri­sti i qua­li non solo costi­tui­sco­no un disa­stro mora­le, ma a lun­go anda­re, con­du­co­no a disa­stri finan­zia­ri le stes­se indu­strie che li seguono”.

Ma la cri­si inter­na Ita­lia­na ave­va enor­me­men­te aggra­va­to pro­ble­mi, socia­li ed eco­no­mi­ci, azien­de gran­di e pic­co­le cade­va­no lascian­do mise­ria, disoc­cu­pa­zio­ne e scan­da­li finan­zia­ri, le pre­ca­rie con­di­zio­ni eco­no­mi­che dei ceti medi e degli ope­rai face­va­no divam­pa­re lot­te socia­li ed esplo­de­va­no anti­chi odii, le fab­bri­che metal­mec­ca­ni­che veni­va­no occu­pa­te da ope­rai arma­ti che agi­va­no in modo spon­ta­neo sen­za una pre­ci­sa diret­ti­va sin­da­ca­le, alla FIAT un diri­gen­te ope­ra­io si instal­la­va nel­l’uf­fi­cio di Gio­van­ni Agnel­li, i con­si­gli ope­rai sosti­tui­sco­no la dire­zio­ne, si ten­ta­no di rea­liz­za­re espe­rien­ze simi­li a quel­le dei com­pa­gni Rus­si, ma con carat­te­ri­sti­che Ita­lia­ne. II gover­no affron­ta atti­mi di sban­da­men­to. Lo stes­so Gian­ni Agnel­li rag­giun­to da Gio­lit­ti a Bar­do­nec­chia chie­de l’in­ter­ven­to del­l’e­ser­ci­to men­tre il gio­va­ne Pal­mi­ro Togliat­ti scri­ve:II pun­to di par­ten­za è la fab­bri­ca, la fab­bri­ca non può esse­re un pun­to di arri­vo. La mas­sa ope­ra­ia non vede in que­sto pri­mo momen­to altro che la pro­pria effi­cien­za, l’at­tac­co dato alle offi­ci­ne è segno di psi­co­lo­gia e del nuo­vo indi­riz­zo di azione”.

Men­tre Mus­so­li­ni il 26 Ago­sto 1920 in una let­te­ra a Sal­moi­ra­ghi riba­di­va   “II nostro atteg­gia­men­to piut­to­sto bene­vo­lo per le mas­se del­le mae­stran­ze del metal­lo, non deve sor­pren­de­re. Noi restia­mo dei “pro­dut­ti­vi­sti” che si pre­oc­cu­pa­no sopra­tut­to del­la pro­du­zio­ne e del suo svi­lup­po; sal­vo nei casi con­cre­ti, a dare ragio­ne a chi c’è l’ha. Fin­ché l’a­gi­ta­zio­ne dei metal­lur­gi­ci non esor­bi­te­rà dai suoi limi­ti stret­ta­men­te eco­no­mi­ci e non dege­ne­re­rà in v: iolen­ze con­tro uomi­ni o con­tro le mac­chi­ne, noi la segui­re­mo con sim­pa­ti­ca atten­zio­ne. Il “caso per caso” è essen­zial­men­te fasci­sta’ ‘.
Si mostre­rà così l’uo­mo più oppor­tu­ni­sta, con la sua dichia­ra­zio­ne pur accor­dan­do una bene­vo­le com­pren­sio­ne all’a­zio­ne del­le mas­se ope­ra­ie ras­si­cu­ra­va agli impren­di­to­ri lo svi­lup­po futu­ro guar­dan­do alla produttività.

Cer­ta­men­te la Oli­vet­ti anche se era un pic­co­lo com­ples­so, con­ta­va cir­ca due­cen­to dipen­den­ti, non dovet­te esse­re immu­ne dal­le lot­te socia­li che afflig­ge­va­no il pae­se, anche se la nascen­te clas­se ope­ra­ia ave­va tra­di­zio­ni piut­to­sto con­ta­di­ne ed era al suo sta­to ini­zia­le di formazione.

Ma le idee di Camil­lo Oli­vet­ti era­no chia­re alle sue mae­stran­ze:    “Noi cre­dia­mo che si deb­ba ten­de­re­ver­so un asset­to socia­le nel qua­le tut­to il frut­to del lavo­ro vada a chi util­men­te lavo­ra”. “Noi cre­dia­mo che dal­la risul­tan­te del­le ten­den­ze ordi­na­ti­ve socia­li­ste e del­le ten­den­ze pro­pul­si­ve indi­vi­dua­li­ste si può spe­ra­re uno sta­to di equi­li­brio socia­le fecon­do di benes­se­re per tutti”.

Così che al momen­to del­l’oc­cu­pa­zio­ne del­le fab­bri­che, la sua pre­sen­za fece desi­ste­re dai loro pro­po­si­ti i capi sin­da­ca­li e li con­vin­se che gli inte­res­si degli ope­rai era­no ben tute­la­ti da lui, dal­l’ing. Camillo.

Il pote­re di Camil­lo Oli­vet­ti cer­ta­men­te deri­va­va dal suo talen­to e le sue capa­ci­tà orga­niz­za­ti­ve lo met­te­va­no al di sopra del­le mae­stran­ze, ma l’a­mo­re per il lavo­ro, il disin­te­res­se, il lavo­ro accu­ra­to e fat­to ad “ope­ra d’ar­te” ridu­ce­va qual­sia­si livello.

Eppu­re gli anni ven­ti dove­va­no segna­re la defi­ni­ti­va espan­sio­ne del­la Oli­vet­ti e le rea­liz­za­zio­ni del­le aspet­ta­ti­ve del­l’in­ge­gnie­re Camil­lo ma sopra­tut­to il con­so­li­da­men­to del­le strut­tu­re ope­ra­ti­ve che daran­no all’a­zien­da l’im­ma­gi­ne del­l’af­fi­da­bi­li­tà del suo pro­dot­to. Nel 1922 i dipen­den­ti sono qua­si tre­cen­to e la pro­du­zio­ne è di 2000 mac­chi­ne all’anno.

I mani­fe­sti di Mar­cel­lo Dudo­vich e Piro­va­no pub­bli­ciz­za­no l’u­ni­co pro­dot­to Oli­vet­ti. In Piro­va­no si esal­ta­no le ten­den­ze futu­ri­sti­che che ave­va­no carat­te­riz­za­to gli anni ante­ce­den­ti la Gran­de Guerra.

Mar­cel­lo Dudo­vich è affer­ma­to, ave­va già lavo­ra­to in Ger­ma­nia nel­la reda­zio­ne di Sim­pli­cis­si­mus, di for­ma­zio­ne inter­na­zio­na­le sa media­re le influen­ze liber­ty del­la gra­fi­ca Fran­ce­se ela­bo­ran­do figu­re spon­ta­nee e gio­io­se e con­tem­po­ra­nea­men­te ambi­gue come quel­le del Liquo­re Stre­ga, la Rina­scen­te, le Cor­se di Bre­scia ed altro.

Era­no i tem­pi in cui l’i­ta­lia­no Leo­net­to Cap­piel­lo, affron­ta il pro­ble­ma come feno­me­no comu­ni­ca­ti­vo e rea­liz­za­va i fol­let­ti di Ther­mo­ge­ne e la pub­bli­ci­tà del Bit­ter Campari.

Adol­phe Mou­ron, sopran­no­mi­na­to Cas­san­dre gran pre­mio per il mani­fe­sto del­l’E­spo­si­zio­ne del 1925 affer­ma­va: “La pit­tu­ra è un fine a sé, il mani­fe­sto è sol­tan­to un mez­zo tra com­mer­cian­te e pub­bli­co, è qual­co­sa di ana­lo­go al tele­gra­fo, il car­tel­lo­ne è il tele­gra­fi­sta, non emet­te mes­sag­gi ma li tra­smet­te, non gli vie­ne affat­to chie­sto il suo pare­re ma sola­men­te di sta­bi­li­re una comu­ni­ca­zio­ne chia­ra, pos­sen­te, precisa”.

Ora­mai l’Olivetti ha acqui­sta­to defi­ni­ti­va­men­te una pro­pria fisio­no­mia e soprat­tut­to inco­min­cia ad ave­re un pro­prio sti­le il lin­guag­gio pub­bli­ci­ta­rio ed il dise­gno indu­stria­le del pro­dot­to si pro­pon­go­no una comu­ni­ca­zio­ne diret­ta auten­ti­ca e razio­na­le. In futu­ro i pie­ghe­vo­li, la pub­bli­ci­tà sui quo­ti­dia­ni, sui perio­di­ci si pro­pon­go­no di con­trap­por­re alla scrit­tu­ra a mano i valo­ri di moder­ni­tà e di chia­rez­za pro­pri del­la scrit­tu­ra a mac­chi­na; “Fu pub­bli­ci­tà alla scrit­tu­ra mec­ca­ni­ca pri­ma che ad un pro­dot­to, biso­gna­va ten­de­re a tra­sfor­ma­re i cala­mai in por­ta­fio­ri secon­do una del­le più feli­ci meta­fo­re pub­bli­ci­ta­rie di quel periodo”

 L’a­zien­da è matu­ra, il pro­dot­to affi­da­bi­le e sicu­ro, lo Stac (Ser­vi­zio tec­ni­co assi­sten­za clien­ti) garan­ti­sce il pron­to inter­ven­to in caso di manu­ten­zio­ni, in pro­du­zio­ne sono sta­te costrui­te mac­chi­ne spe­cia­li per ret­ti­fi­ca­re mar­tel­let­ti e per il taglio del­le pia­stre, non c’è mol­to spa­zio per nuo­ve crea­ti­vi­tà, le dimen­sio­ni sono enor­mi. Camil­lo Oli­vet­ti deci­de di costruir­si un’of­fi­ci­na mec­ca­ni­ca per la pro­du­zio­ne di mac­chi­ne uten­si­li “Que­sta fab­bri­ca è già trop­po gran­de per me, io non mi ci tro­vo più. Voglio costruir­mi una pic­co­la offi­ci­na come quel­la dei miei ini­zi, in cui poter fare le mie espe­rien­ze di pro­get­ta­zio­ne””.  Fu pub­bli­ci­tà alla scrit­tu­ra mec­ca­ni­ca pri­ma che ad un pro­dot­to, biso­gna­va ten­de­re a tra­sfor­ma­re i cala­mai in por­ta­fio­ri secon­do una del­le più feli­ci meta­fo­re pub­bli­ci­ta­rie di quel periodo”

Era l’an­no in cui Adria­no Oli­vet­ti, figlio pri­mo­ge­ni­to, lavo­ra in fab­bri­ca da ope­ra­io, dirà un gior­no del padre: “Mio padre era dota­to di un genia­le talen­to eco­no­mi­co, ma disprez­za­va la strut­tu­ra capi­ta­li­sti­ca, il siste­ma ban­ca­rio, la finan­za, la bor­sa i tito­li. Per­ciò vol­le esse­re inge­gne­re con­tro la sua stes­sa più pro­fon­da vocazione”.

Era natu­ra­le quin­di che da due gene­ra­zio­ni venis­se­ro a con­flit­to, del resto anche le strut­tu­re del­la fab­bri­ca, fat­ta­si gran­de, pone­va­no pro­ble­mi più com­ples­si e neces­si­ta­va­no svi­lup­pi più orga­ni­ci e razio­na­li. Il ciclo con­ti­nuo, la nasci­ta di mac­chi­ne spe­cia­li, la fon­de­ria, l’at­trez­ze­ria per gli uten­si­li ave­va por­ta­to la Oli­vet­ti alla rea­liz­za­zio­ne di una indu­stria idea­le a ciclo com­ple­to ed auto­no­ma ed era quel­lo che il suo fon­da­to­re ave­va sogna­to. Anche la rete com­mer­cia­le si era svi­lup­pa­ta in modo auto­no­mo al pas­so ed a vol­ta avan­ti a quel­la indu­stria­le pene­tran­do non solo nel­le cit­tà ita­lia­ne ma anche in quel­le este­re con filia­li in Olan­da ed in Ame­ri­ca Meri­dio­na­le. Acqui­sta­re un aspet­to trans­na­zio­na­le por­ta­va l’a­zien­da a cimen­tar­si con­ti­nua­men­te con altre real­tà indu­stria­li spe­cie quel­le evo­lu­te e razio­na­liz­za­te del­l’A­me­ri­ca del Nord. Più che guar­da­re alla Fran­cia alla Gran Bre­ta­gna occor­re­va cimen­tar­si con gli Sta­ti Uni­ti dove l’a­na­li­si dei tem­pi, la meto­do­lo­gia dei mon­tag­gi assi­cu­ra­va­no una pro­dut­ti­vi­tà mag­gio­re di quel­la Italiana.

Nel 1926 la pro­dut­ti­vi­tà era mol­to bas­sa, cir­ca die­ci uni­tà all’an­no per addet­to, occor­re­va quin­di rior­ga­niz­za­re le offi­ci­ne, mon­ta­re il pro­dot­to in tem­pi più velo­ci, tro­va­re tut­te le inno­va­zio­ni tali da accre­sce­re l’ef­fi­cien­za pro capite.

La cosa fu affi­da­ta al figlio Adria­no con un moni­to peren­to­rio “Tu puoi fare qua­lun­que cosa tran­ne licen­zia­re qual­cu­no per moti­vo del­l’in­tro­du­zio­ne dei nuo­vi meto­di per­ché la disoc­cu­pa­zio­ne invo­lon­ta­ria è il male più ter­ri­bi­le che afflig­ge la clas­se operaia”

I risul­ta­ti con­cre­ti del­l’o­pe­ra­zio­ne sot­to la spin­ta di con­ti­nue ana­li­si si ebbe­ro nel 1929 l’an­no del­la cri­si mon­dia­le, con poche mae­stran­ze in più si pro­du­ce­va­no cir­ca 12000 mac­chi­ne M20 all’an­no con un aumen­to del­la pro­dut­ti­vi­tà del 30% rispet­to al 1926.

Ma ormai la sto­ria del­la M20 era fini­ta, la mac­chi­na che per un decen­nio ave­va lega­to il suo nome all’a­sce­sa del­la pic­co­la fab­bri­ca Cana­ve­sa­na sta­va per cede­re il posto ai pro­dot­ti del futu­ro ma anche all’O­li­vet­ti si affac­cia­va pre­po­ten­te­men­te la per­so­na­li­tà del­l’uo­mo nuo­vo, il figlio di Camil­lo, l’ing. Adria­no Olivetti.

 

BRUNO Caizzl, Oli­vet­ti, UTET, Torino.

AMERIGO Vigler­no, Bega­na vita sana, Priu­li & Ver­luc­ca, Ivrea.

Sto­ria d’I­ta­lia, Mon­da­do­ri, Milano.

  1. DE FELICE, Mus­so­li­ni il fasci­sta, Einau­di, Mila­no. Sto­ria del­l’Ar­te, De Ago­sti­ni, Novara.

Cata­lo­go 50 Anni di Olivetti.

BRUNO Caiz­zi, Op. Cit.

Cata­lo­go 50 Anni di Olivetti.

BRUNO Caizzl, op. cIt.