da Peridico “Fotograria Comparata” Marzo 1982
di Mauro Nemesio Rossi
L’immagine di un’azienda nasce dalla qualità del suo prodotto, dall’efficienza degli uomini, da una pubblicità razionale e si costruisce a poco a poco: quella duratura non è mai una folgore.
Che i presupposti c’erano tutti, sin dal sorgere dell’attività, era certamente indubbio, per la grandezza dell’uomo e la sua intelligenza, per i lunghi studi fatti con umiltà e dedizione a fianco di Galileo Ferraris e soprattutto in mezzo alla sua gente del Canavese. Camillo Olivetti, fonda nel 1908 la sua fabbrica di macchine da scrivere, naturale travaglio di lunghi viaggi in America e continui tentativi di avvicinamento al prodotto che doveva essere completamente nuovo da quello americano della Williams che aveva commerciato fin dal 1894, e superiore per qualità alle Underwood e alle Royal che in quel periodo già producevano settantamila e ventimila unità all’anno.
La M1 non imitava niente di simile sul mercato, i suoi meccanismi erano del tutto originali anche se complicati e costosi. Su un foglio di carta intestata alla sua prima fabbrica milanese di via Broggi 4, scriveva una lettera dattiloscritta alla moglie: “La macchina non è ancora perfetta… ma credo che in poco tempo potrò renderla buona quanto le migliori macchine del genere…”; da quella lettera prima che la macchina diventasse un prodotto commerciale passano due anni, infatti è alla esposizione universale di Torino del 1911 che nel piccolo stand due M1 erano offerte alla curiosità dei visitatori. Quello che dovevano mostrare era l’immagine di un Camillo Olivetti e di un’azienda nascente attenta all’accuratezza, all’ingegnosità e all’avanguardia della lavorazione. Erano gli anni della floridezza economica Italiana e l’avvenire si mostrava sicuro. II nome Olivetti incominciava ad affacciarsi sui balconi delle filiali di Milano e successivamente a Genova e Napoli.
Il tutto cresceva con lentezza, specie il ciclo economico. “Un tecnico partiva da Ivrea e girava l’Italia per visitare le filiali, anch’egli era esposto alle vicissitudini dell’impresa al punto di dover badare perfino alle spese personali e cercare di ridurre i conti del vitto e dell’alloggio. Più tardi amò a sua volta ricordare un episodio sintomatico di quegli anni. A Genova, dove era andato per le solite incombenze, incontrò per caso l’ingegniere. Camillo che gli chiese dove fosse alloggiato. Quando seppe che il suo dipendente era sceso in un albergo assai modesto Olivetti lo trascinò in piazza De Ferrari e mostrandogli L’hotel “Italia” gli disse: “Stasera verrai qui oggi che ce lo possiamo permettere, dobbiamo trattarci bene”.
“Quello stesso tecnico cominciava a frequentare uffici e ministeri e quasi ovunque incontrava dattilografe che gli lasciavano capire che un omaggio personale della ditta alla cui macchina esse passavano la loro giornata non sarebbe giunto ad esse sgradito. Rientrato ad Ivrea egli ne parlava all’ingegniere.Camillo che pareva piuttosto restio a soddisfare quelle sollecitazioni. Finalmente riuscì a convincerlo a fare un fermacarte nero a molle con le iniziali ICO Industria Camillo Olivetti”
Erano le basi dell’immagine che l’azienda doveva darsi nel suo assetto definitivo e che trovarono il culmine nella politica di Adriano Olivetti.
Forse il primo catalogo ufficiale stampato in bello stile fu quello della presentazione del Nuovo prodotto alla Fiera di Bruxelles del 1920. Un album di 26 pagine nel formato 23x27 con la copertina in cartoncino marrone e la scritta Olivetti in corsivo, sovraimpressione oro, in basso il nome Ivrea, tra parentesi Italia.
Lo stesso carattere compariva sul portacarta della M20, una macchina quasi senza carrozzeria che lasciava intravedere ai lati cinematismi atti alle funzioni.
L’album è dedicato a tutti coloro impossibilitati a visitare le belle officine di Ivrea dove la macchina da scrivere “Olivetti” è costruita. Le poche righe della prima pagina terminano con la scritta pubblicitaria: “Nos usines bien qu’elles soient parmi les plus grandes en Europe, ne peuvent certainement rivaliser, par leurs dimensions, avec les plus fortes maisons d’Amerique, nous n’avons d’ailleurs par l’ambition de fabriquer le plus grand nombre de machines. Tous nes effort se sont tendus vers ce resultat: Construire la meilleure machine. Nous croyons fermemente avvir attaint ce but”.
E certamente poteva ben dirlo! La fabbrica dal 1908 in poi era cresciuta e negli anni della prima guerra mondiale aveva affinato i suoi tecnici, aveva attuati sistemi di lavorazione nuovi, aveva accresciuto il bagaglio tecnologico e culturale di tutte le maestranze predisposizione alla doppia attività di lavoro, i contadini-minatori, i contadini-artigiani, diventano operai-contadini, aiutati in questa trasformazione dalle moderne macchine agricole’ ‘.
L’uscita della M20 coincide con l’anno delle rivolte operaie ed era stata preceduta dalla sospensione e dalla ricomparsa del settimanale “L’Azione Riformista” diretto da Giuseppe Foa dalle cui pagine l’ingegniere. Camillo Olivetti aveva annunziato l’adesione all’Unione Socialista Italiana in una tacita polemica con i socialisti che non avevano trovato un equilibrio, tra i doveri d’italiani e militanti. Sullo stesso settimanale lo stesso ing. Camillo esponeva le sue tesi economiche in occasione della difficile recessione che si attraversava.
In grossetto ed incorniciate si potevano leggere le frasi: “Gli Italiani debbono dare preferenza ai prodotti nazionali. Gli Industriali debbono produrre soltanto merce ottima a prezzi onesti. I Commercianti debbono vendere soprattutto merce italiana accontentandosi di guadagni limitati”.
A queste massime egli poteva ribadire quale doveva essere “La mentalità del produttore” affermando: “La mentalità di un industriale che voglia meritare tale nome ed essere onorato ed onorevole, dovrebbe essere quella di un produttore e di un organizzatore non quella di uno speculatore. Lo scopo preciso che un industriale deve prefiggersi è quello che la sua efficienza produca molto bene, così da crearsi una buona reputazione. L’idea del guadagno deve essere in seconda linea.
Succede per l’industriale serio quello che succede per l’artista che deve mirare alla perfezione della sua opera più che al lucro che da essa ne ricaverà. Per l’industriale come per l’artista il guadagnare è certamente una necessità, ma si deve in ogni cosa riflettere che l’utile sarà tanto maggiore quanto più perfetto riuscirà il lavoro e per ottenere ciò non deve esservi altra mira che la perfezione dei prodotti. Il produrre bene è più difficile e soprattutto richiede più tempo e più pratica che il produrre male, ma esso è l’unico modo onesto e sano e a lungo andare anche il più profittevole. Questo metodo è poco apprezzato da molti che si chiamano industriali perché hanno investito dei capitali nelle industrie esono esponenti di Banchieri che nelle industrie altro non vedono che un affare; ma questi più che industriali sono affaristi e costituiscono una vera calamità per il buon nome dell’Italia.
Infatti proprio ad essi si deve imputare il fatto che i nostri industriali non hanno quella estimazione che si meriterebbero se sapessero svincolarsi dai metodi affaristi i quali non solo costituiscono un disastro morale, ma a lungo andare, conducono a disastri finanziari le stesse industrie che li seguono”.
Ma la crisi interna Italiana aveva enormemente aggravato problemi, sociali ed economici, aziende grandi e piccole cadevano lasciando miseria, disoccupazione e scandali finanziari, le precarie condizioni economiche dei ceti medi e degli operai facevano divampare lotte sociali ed esplodevano antichi odii, le fabbriche metalmeccaniche venivano occupate da operai armati che agivano in modo spontaneo senza una precisa direttiva sindacale, alla FIAT un dirigente operaio si installava nell’ufficio di Giovanni Agnelli, i consigli operai sostituiscono la direzione, si tentano di realizzare esperienze simili a quelle dei compagni Russi, ma con caratteristiche Italiane. II governo affronta attimi di sbandamento. Lo stesso Gianni Agnelli raggiunto da Giolitti a Bardonecchia chiede l’intervento dell’esercito mentre il giovane Palmiro Togliatti scrive: “II punto di partenza è la fabbrica, la fabbrica non può essere un punto di arrivo. La massa operaia non vede in questo primo momento altro che la propria efficienza, l’attacco dato alle officine è segno di psicologia e del nuovo indirizzo di azione”.
Mentre Mussolini il 26 Agosto 1920 in una lettera a Salmoiraghi ribadiva “II nostro atteggiamento piuttosto benevolo per le masse delle maestranze del metallo, non deve sorprendere. Noi restiamo dei “produttivisti” che si preoccupano sopratutto della produzione e del suo sviluppo; salvo nei casi concreti, a dare ragione a chi c’è l’ha. Finché l’agitazione dei metallurgici non esorbiterà dai suoi limiti strettamente economici e non degenererà in v: iolenze contro uomini o contro le macchine, noi la seguiremo con simpatica attenzione. Il “caso per caso” è essenzialmente fascista’ ‘.
Si mostrerà così l’uomo più opportunista, con la sua dichiarazione pur accordando una benevole comprensione all’azione delle masse operaie rassicurava agli imprenditori lo sviluppo futuro guardando alla produttività.
Certamente la Olivetti anche se era un piccolo complesso, contava circa duecento dipendenti, non dovette essere immune dalle lotte sociali che affliggevano il paese, anche se la nascente classe operaia aveva tradizioni piuttosto contadine ed era al suo stato iniziale di formazione.
Ma le idee di Camillo Olivetti erano chiare alle sue maestranze: “Noi crediamo che si debba tendereverso un assetto sociale nel quale tutto il frutto del lavoro vada a chi utilmente lavora”. “Noi crediamo che dalla risultante delle tendenze ordinative socialiste e delle tendenze propulsive individualiste si può sperare uno stato di equilibrio sociale fecondo di benessere per tutti”.
Così che al momento dell’occupazione delle fabbriche, la sua presenza fece desistere dai loro propositi i capi sindacali e li convinse che gli interessi degli operai erano ben tutelati da lui, dall’ing. Camillo.
Il potere di Camillo Olivetti certamente derivava dal suo talento e le sue capacità organizzative lo mettevano al di sopra delle maestranze, ma l’amore per il lavoro, il disinteresse, il lavoro accurato e fatto ad “opera d’arte” riduceva qualsiasi livello.
Eppure gli anni venti dovevano segnare la definitiva espansione della Olivetti e le realizzazioni delle aspettative dell’ingegniere Camillo ma sopratutto il consolidamento delle strutture operative che daranno all’azienda l’immagine dell’affidabilità del suo prodotto. Nel 1922 i dipendenti sono quasi trecento e la produzione è di 2000 macchine all’anno.
I manifesti di Marcello Dudovich e Pirovano pubblicizzano l’unico prodotto Olivetti. In Pirovano si esaltano le tendenze futuristiche che avevano caratterizzato gli anni antecedenti la Grande Guerra.
Marcello Dudovich è affermato, aveva già lavorato in Germania nella redazione di Simplicissimus, di formazione internazionale sa mediare le influenze liberty della grafica Francese elaborando figure spontanee e gioiose e contemporaneamente ambigue come quelle del Liquore Strega, la Rinascente, le Corse di Brescia ed altro.
Erano i tempi in cui l’italiano Leonetto Cappiello, affronta il problema come fenomeno comunicativo e realizzava i folletti di Thermogene e la pubblicità del Bitter Campari.
Adolphe Mouron, soprannominato Cassandre gran premio per il manifesto dell’Esposizione del 1925 affermava: “La pittura è un fine a sé, il manifesto è soltanto un mezzo tra commerciante e pubblico, è qualcosa di analogo al telegrafo, il cartellone è il telegrafista, non emette messaggi ma li trasmette, non gli viene affatto chiesto il suo parere ma solamente di stabilire una comunicazione chiara, possente, precisa”.
Oramai l’Olivetti ha acquistato definitivamente una propria fisionomia e soprattutto incomincia ad avere un proprio stile il linguaggio pubblicitario ed il disegno industriale del prodotto si propongono una comunicazione diretta autentica e razionale. In futuro i pieghevoli, la pubblicità sui quotidiani, sui periodici si propongono di contrapporre alla scrittura a mano i valori di modernità e di chiarezza propri della scrittura a macchina; “Fu pubblicità alla scrittura meccanica prima che ad un prodotto, bisognava tendere a trasformare i calamai in portafiori secondo una delle più felici metafore pubblicitarie di quel periodo”
L’azienda è matura, il prodotto affidabile e sicuro, lo Stac (Servizio tecnico assistenza clienti) garantisce il pronto intervento in caso di manutenzioni, in produzione sono state costruite macchine speciali per rettificare martelletti e per il taglio delle piastre, non c’è molto spazio per nuove creatività, le dimensioni sono enormi. Camillo Olivetti decide di costruirsi un’officina meccanica per la produzione di macchine utensili “Questa fabbrica è già troppo grande per me, io non mi ci trovo più. Voglio costruirmi una piccola officina come quella dei miei inizi, in cui poter fare le mie esperienze di progettazione””. Fu pubblicità alla scrittura meccanica prima che ad un prodotto, bisognava tendere a trasformare i calamai in portafiori secondo una delle più felici metafore pubblicitarie di quel periodo”
Era l’anno in cui Adriano Olivetti, figlio primogenito, lavora in fabbrica da operaio, dirà un giorno del padre: “Mio padre era dotato di un geniale talento economico, ma disprezzava la struttura capitalistica, il sistema bancario, la finanza, la borsa i titoli. Perciò volle essere ingegnere contro la sua stessa più profonda vocazione”.
Era naturale quindi che da due generazioni venissero a conflitto, del resto anche le strutture della fabbrica, fattasi grande, ponevano problemi più complessi e necessitavano sviluppi più organici e razionali. Il ciclo continuo, la nascita di macchine speciali, la fonderia, l’attrezzeria per gli utensili aveva portato la Olivetti alla realizzazione di una industria ideale a ciclo completo ed autonoma ed era quello che il suo fondatore aveva sognato. Anche la rete commerciale si era sviluppata in modo autonomo al passo ed a volta avanti a quella industriale penetrando non solo nelle città italiane ma anche in quelle estere con filiali in Olanda ed in America Meridionale. Acquistare un aspetto transnazionale portava l’azienda a cimentarsi continuamente con altre realtà industriali specie quelle evolute e razionalizzate dell’America del Nord. Più che guardare alla Francia alla Gran Bretagna occorreva cimentarsi con gli Stati Uniti dove l’analisi dei tempi, la metodologia dei montaggi assicuravano una produttività maggiore di quella Italiana.
Nel 1926 la produttività era molto bassa, circa dieci unità all’anno per addetto, occorreva quindi riorganizzare le officine, montare il prodotto in tempi più veloci, trovare tutte le innovazioni tali da accrescere l’efficienza pro capite.
La cosa fu affidata al figlio Adriano con un monito perentorio “Tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia”
I risultati concreti dell’operazione sotto la spinta di continue analisi si ebbero nel 1929 l’anno della crisi mondiale, con poche maestranze in più si producevano circa 12000 macchine M20 all’anno con un aumento della produttività del 30% rispetto al 1926.
Ma ormai la storia della M20 era finita, la macchina che per un decennio aveva legato il suo nome all’ascesa della piccola fabbrica Canavesana stava per cedere il posto ai prodotti del futuro ma anche all’Olivetti si affacciava prepotentemente la personalità dell’uomo nuovo, il figlio di Camillo, l’ing. Adriano Olivetti.
BRUNO Caizzl, Olivetti, UTET, Torino.
AMERIGO Viglerno, Begana vita sana, Priuli & Verlucca, Ivrea.
Storia d’Italia, Mondadori, Milano.
- DE FELICE, Mussolini il fascista, Einaudi, Milano. Storia dell’Arte, De Agostini, Novara.
Catalogo 50 Anni di Olivetti.
BRUNO Caizzi, Op. Cit.
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BRUNO Caizzl, op. cIt.