L’azienda Italia non è solo Fiat

di: Fran­ce­sco Fravolini

 

Il lun­go per­cor­so di Adria­no Oli­vet­ti, rivi­sto attra­ver­so le testi­mo­nian­ze di auto­re­vo­li pro­ta­go­ni­sti azien­da­li, ci resti­tui­sce uno spac­ca­to di vita ita­lia­na. Non solo la sto­ria di un uomo che è sta­to capa­ce di abbi­na­re le logi­che e i suc­ces­si del­l’im­pre­sa a un pro­get­to socia­le anco­ra oggi inno­va­ti­vo, ma anche la memo­ria di una clas­se impren­di­to­ria­le che ha sapu­to con­trad­di­stin­gue­re il nostro Pae­se nel mon­do e la con­sa­pe­vo­lez­za che l’industria ita­lia­na non è solo quel­la auto­mo­bi­li­sti­ca. Testi­mo­nian­ze di auto­re­vo­li pro­ta­go­ni­sti azien­da­li, ben rac­con­ta­te, accu­ra­ta­men­te descrit­te, con inte­res­san­ti par­ti­co­la­ri di sto­ria vis­su­ta. Sen­za dimen­ti­ca­re le corag­gio­se posi­zio­ni assun­te, qua­si a deter­mi­na­re una vera e pro­pria stra­te­gia d’impresa. Nel libro “Uomi­ni e lavo­ro alla Oli­vet­ti” a cura di Fran­ce­sco Nova­ra, Rena­to Roz­zi e Rober­ta Gar­ruc­cio, edi­to dal­la Bru­no Mon­da­do­ri Edi­to­re, con post­fa­zio­ne di Giu­lio Sapel­li, è minu­zio­sa­men­te rico­strui­ta la sto­ria del­la gran­de mul­ti­na­zio­na­le ita­lia­na, per com­pren­de­re l’importanza dell’industria ita­lia­na, non sem­pre ricon­du­ci­bi­le a poche fami­glie bla­so­na­te dell’alta finan­za del Bel­pae­se. Nel­le ven­ti­cin­que inter­vi­ste ai per­so­nag­gi che han­no con­tri­bui­to alla rea­liz­za­zio­ne del suc­ces­so impren­di­to­ria­le del­la Oli­vet­ti emer­go­no con chia­rez­za le sto­rie di vita, le fati­che affron­ta­te, le dif­fi­ci­li scel­te intra­pre­se dal manag­ment. Con un solo obiet­ti­vo: riper­cor­re­re tut­ta l’e­vo­lu­zio­ne subi­ta dall’azienda nel cru­cia­le e lun­go pas­sag­gio dal­la mec­ca­ni­ca all’e­let­tro­ni­ca, avve­nu­to dal 1948 al 1978, fino alla cri­si del­la secon­da metà degli anni Ottan­ta. Sono 640 pagi­ne sud­di­vi­se in set­te capi­to­li che esplo­ra­no diver­si aspet­ti dell’esperienza con­dot­ta da Oli­vet­ti: le rela­zio­ni azien­da­li e le rela­zio­ni sin­da­ca­li, sot­to­li­nean­do­ne l’inedito rap­por­to che ha sem­pre con­trad­di­stin­to la vita alla Oli­vet­ti; la pro­du­zio­ne, la Ricer­ca & Svi­lup­po, i ser­vi­zi com­mer­cia­li, l’Alta Dire­zio­ne e i ser­vi­zi cul­tu­ra­li e sociali.Tutti pro­ta­go­ni­sti indi­scus­si del­la sce­na eco­no­mi­ca, appar­te­nen­ti a un tipi­co mon­do indu­stria­le ita­lia­no, for­te­men­te carat­te­riz­za­to da un model­lo di azien­da che ha con­trad­di­stin­to l’Italia. Sono Dio­ni­sio Alber­tin, Gio­van­ni Avon­to, Adria­no Bel­lot­to, Alber­to Ber­ghi­no, Pier Car­lo Bot­ti­no, Giu­lia­no Brac­co, Umber­to Chap­pe­ron, Nico­la Colan­ge­lo, Cle­to Cos­sa­vel­la, Otto­ri­no Fel­tra­mi, Gian­fran­co Fer­li­to, Gasto­ne Gar­zie­ra, Alber­to Gob­bi, Ales­san­dro Gra­ciot­ti, Umber­to Gri­bau­do, Fio­ren­zo Gri­jue­la, Mas­si­mo Levi, Cor­ne­lia Lom­bar­do, Gio­van­ni Mag­gio, Etto­re Morez­zi, Gian­no­rio Neri, Lui­gi Pescar­mo­na, San­dro Sar­tor, Mario Tor­ta, Gio­van­ni Truant. Le sto­rie rac­col­te nel libro sot­to­li­nea­no un signi­fi­ca­ti­vo aspet­to impren­di­to­ria­le: il lavo­ro in azien­da era sostan­zial­men­te impe­gna­to a pro­get­ta­re, costrui­re e pro­por­re, con ambi­zio­ni di eccel­len­za, pro­dot­ti di uti­li­tà rea­le, sen­za tra­scu­ra­re le qua­li­tà più stret­ta­men­te lega­te ai valo­ri e alla digni­tà degli uomi­ni che costi­tui­va­no l’impresa. Per­ché la digni­tà dei lavo­ra­to­ri era sem­pre al cen­tro del­le scel­te impren­di­to­ria­li, sen­za pas­sa­re in secon­do pia­no, bene asso­lu­to di un’impresa, indi­scu­ti­bi­le ric­chez­za uma­na. Il libro evo­ca in modo chia­ro, con una atten­ta rico­stru­zio­ne azien­da­le, quel for­te sen­so che que­ste per­so­ne han­no tro­va­to nel lavo­ro e nel­la disci­pli­na del lavo­ro indu­stria­le. Sono tut­ti aspet­ti pecu­lia­ri ma di for­te signi­fi­ca­to uma­ni­sti­co che han­no carat­te­riz­za­to la gran­de sta­gio­ne del­la Oli­vet­ti, deli­nean­do gli sce­na­ri sto­ri­ci più salien­ti dell’economia ita­lia­na. È impor­tan­te ricor­da­re che la mul­ti­na­zio­na­le, duran­te il Nove­cen­to, si è inse­ri­ta in diver­si mer­ca­ti inter­na­zio­na­li suben­do mol­te tra­sfor­ma­zio­ni: dal­la mec­ca­ni­ca di pre­ci­sio­ne, set­to­re da cui pren­de avvio la ricer­ca nel 1908, all’elettromeccanica, tra gli anni Qua­ran­ta e gli anni Ses­san­ta; dall’elettronica all’informatica, tra gli anni Ses­san­ta e gli anni Set­tan­ta; dal­la tec­no­lo­gia dell’informazione a quel­la del­le tele­co­mu­ni­ca­zio­ni, tra gli anni Ottan­ta e gli anni Novanta.

Eti­ca d’impresa
Adria­no Oli­vet­ti si ispi­ra a un par­ti­co­la­re model­lo filo­so­fi­co, squi­si­ta­men­te ari­sto­te­li­co: l’agire eco­no­mi­co è inse­ri­to nel­la cate­na teo­lo­gi­ca che lo fina­liz­za al bene comu­ne. L’impresa nasce, impe­gnan­do risor­se appro­pria­te, al fine di costrui­re pro­dot­ti e ser­vi­zi uti­li per il mon­do in cui ope­ra, man­te­nen­do la pro­pria auto­suf­fi­cien­za con il pro­fit­to e distri­buen­do ricchezza.Per Adria­no Oli­vet­ti, come per suo padre Camil­lo, l’at­ti­vi­tà eco­no­mi­ca è al ser­vi­zio del­la vita socia­le, con­trad­di­cen­do il prin­ci­pio per cui l’im­pre­sa, in quan­to sog­get­to giu­ri­di­co pri­va­to, ha come fine pri­ma­rio la mas­si­miz­za­zio­ne del pro­fit­to degli azio­ni­sti, in un’ac­cu­mu­la­zio­ne infi­ni­ta, mer­ci­fi­can­do il lavo­ro e il capitale.Pur essen­do un’impresa pri­va­ta, la mul­ti­na­zio­na­le Oli­vet­ti vive per la socie­tà per­ché è neces­sa­rio stru­men­to al fine di tra­sfe­ri­re le acqui­si­zio­ni tec­ni­co-scien­ti­fi­che in pro­dot­ti e ser­vi­zi social­men­te uti­li: la sua ragion d’es­se­re. Il per­se­gui­men­to di que­sta fina­li­tà comu­ne è la sin­te­si del­le varia­bi­li che com­pon­go­no la sua orga­niz­za­zio­ne com­ples­sa: sono varia­bi­li reci­pro­ca­men­te irri­du­ci­bi­li e con­ti­nua­men­te inte­ra­gen­ti, pre­sie­du­te da per­so­ne por­ta­tri­ci di cul­tu­re pro­fes­sio­na­li diver­se. Que­sti indi­vi­dui, con­fron­tan­do­si su temi e pro­ble­mi con­cre­ti, pos­so­no costrui­re insie­me una cul­tu­ra d’im­pre­sa. L a fina­li­tà vita­le con­di­vi­sa crea l’or­di­ne fun­zio­na­le, men­ta­le, mora­le, emo­zio­na­le. A que­sta con­di­zio­ne, per Camil­lo e per Adria­no, la tec­ni­ca svol­ge il suo com­pi­to essen­zia­le, che è “dare un nuo­vo cor­so alla vita e al lavo­ro del­l’uo­mo” nell’ “immen­sa for­za spi­ri­tua­le del­la fab­bri­ca”. Nel­le rela­zio­ni indu­stria­li dell’azienda è ben radi­ca­ta la con­ce­zio­ne di “demo­cra­zia indu­stria­le”, volu­ta per­so­nal­men­te da Adria­no Oli­vet­ti. Nell’immediato dopo­guer­ra inse­guì inva­no un con­sen­so poli­ti­co e sin­da­ca­le con un pre­ci­so obiet­ti­vo: crea­re un’impresa di tipo nuo­vo al di là del socia­li­smo e del capi­ta­li­smo. Tut­to ciò per rea­liz­za­re l’industria socia­le auto­no­ma, dove la pro­prie­tà deve esse­re con­di­vi­sa da più com­po­nen­ti: lavo­ra­to­ri (ope­rai e tec­ni­ci), enti ter­ri­to­ria­li (loca­li, regio­na­li), isti­tu­ti tec­no-scien­ti­fi­ci. Per­ché l’obiettivo prin­ci­pa­le di Adria­no Oli­vet­ti mira­va a “socia­liz­za­re sen­za sta­tiz­za­re”, con­ci­lian­do capi­ta­le e lavo­ro. Il model­lo d’industria socia­le auto­no­ma non fu rea­liz­za­to ma il com­por­ta­men­to di Adria­no Oli­vet­ti nel­le rela­zio­ni indu­stria­li lo rese un “impren­di­to­re ati­pi­co”, defi­ni­to “impren­di­to­re ros­so” da Ange­lo Costa, pre­si­den­te del­la Con­fin­du­stria. Fu pro­prio Costa a invi­ta­re i con­fin­du­stria­li a boi­cot­ta­re i pro­dot­ti Oli­vet­ti. Ma Adria­no Oli­vet­ti per­se­gui­va il libe­ro e con­sa­pe­vo­le avan­za­men­to socia­le com­ples­si­vo dell’impresa, del­la fab­bri­ca a misu­ra d’uomo, nel­la comu­ni­tà di cui essa stes­sa è parte.

Svi­lup­po economico
L’azienda Oli­vet­ti è ben pro­iet­ta­ta nel mon­do alla fine degli anni Ven­ti. Con con­ces­sio­na­ri in una tren­ti­na di Pae­si, ini­zia la crea­zio­ne di con­so­cia­te este­re. Tut­to ciò avvie­ne men­tre l’azienda raf­for­za la pro­pria con­si­sten­za tec­ni­ca, con la pro­du­zio­ne di mac­chi­ne e attrez­za­tu­re  neces­sa­rie a fab­bri­ca­re i pro­dot­ti. Che veni­va­no con­se­gna­ti ai clien­ti con un’at­ten­ta assi­sten­za tec­ni­ca. L’anima del­lo svi­lup­po non è l’a­vi­di­tà di gua­da­gno. Adria­no Oli­vet­ti ere­di­ta dal padre Camil­lo una “reli­gio­sa ripul­sa per il dana­ro che vie­ne non dal lavo­ro, ma da altro dana­ro”: è suf­fi­cien­te pen­sa­re che i divi­den­di accor­da­ti agli azio­ni­sti non supe­ra­no mai i divi­den­di rico­no­sciu­ti in con­to cor­ren­te azien­da­le ai dipen­den­ti. L’azienda Oli­vet­ti rea­gi­sce alla cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne avve­nu­ta nel 1953, espan­den­do l’organizzazione com­mer­cia­le per man­te­ne­re i volu­mi di pro­du­zio­ne, inclu­si i posti di lavo­ro. Adria­no non dimen­ti­ca la solen­ne con­se­gna del padre: “Nell’affidarmi allo­ra la rior­ga­niz­za­zio­ne del­le offi­ci­ne, mio padre mi ave­va con­fe­ri­to gran­di pote­ri, ma mi ave­va pure avvi­sa­to e ammo­ni­to con pre­ci­se  indi­ca­zio­ni, in que­sti ter­mi­ni peren­to­ri: “Tu puoi fare qua­lun­que cosa tran­ne licen­zia­re qual­cu­no a moti­vo del­l’in­tro­du­zio­ne dei nuo­vi meto­di, per­ché la disoc­cu­pa­zio­ne invo­lon­ta­ria è il male più ter­ri­bi­le che affIig­ge la clas­se ope­ra­ia”. Il costan­te svi­lup­po del­l’a­zien­da è inte­so ad assi­cu­ra­re e aumen­ta­re l’oc­cu­pa­zio­ne. Adria­no intra­pren­de la “via del Sud” crean­do lo sta­bi­li­men­to di Poz­zuo­li e ripro­met­ten­do­si di “por­ta­re i capi­ta­li dove c’è for­za-lavo­ro e non vice­ver­sa”. La sua deci­sio­ne di non assu­me­re, nel nuo­vo inse­dia­men­to di Scar­ma­gno, per­so­ne non resi­den­ti da alme­no tre anni nel C ana­ve­se (dove la disoc­cu­pa­zio­ne è anco­ra alta), pre­vie­ne un’im­mi­gra­zio­ne mas­sic­cia che, secon­do le sue paro­le, “nel­l’i­na­de­gua­tez­za di case, scuo­le, strut­tu­re sani­ta­rie, scon­vol­ge­reb­be l’e­qui­li­brio eco­no­mi­co e socia­le: noi ne paghe­rem­mo le con­se­guen­ze, ma ne sarem­mo i respon­sa­bi­li”. Que­sto mul­ti­for­me com­por­ta­men­to di respon­sa­bi­li­tà socia­le costi­tui­sce il ter­re­no per rela­zio­ni sin­da­ca­li che, nel per­ma­ne­re d’in­te­res­si eco­no­mi­ci distin­ti tra pro­prie­tà e lavo­ro dipen­den­te, si svol­go­no nel rispet­to e nel lea­le con­fron­to di que­sti inte­res­si. Non man­ca­no le ten­sio­ni: alcu­ne inter­vi­ste ricor­da­no le resi­sten­ze nel pas­sag­gio inte­gra­le dal­la mec­ca­ni­ca all’elettronica; altre testi­mo­nian­ze si sof­fer­ma­no sui momen­ti di ten­sio­ne nei Ser­vi­zi del Per­so­na­le. Il ruo­lo dei lavo­ra­to­ri­Di­ver­se testi­mo­nian­ze rac­col­te nel libro rive­la­no che l’Olivetti si atten­de­va leal­tà dai lavo­ra­to­ri, con­fi­da­va nel­la liber­tà respon­sa­bi­le. A sot­to­li­nea­re que­sto aspet­to è pro­prio Etto­re Morez­zi che sin­te­tiz­za: “Met­te­re le per­so­ne in con­di­zio­ne di espri­me­re il meglio di se stes­se, aven­do scel­to quel­le che han­no mol­to da espri­me­re”. La mul­ti­na­zio­na­le inve­ste nel­la qua­li­tà degli esse­ri uma­ni. L’azienda offre spa­zio alla cre­sci­ta dei gio­va­ni e alla loro capa­ci­tà inno­va­ti­va, soste­nu­ta e arric­chi­ta dal lavo­ro in grup­pi pro­fes­sio­na­li. Più inter­vi­ste sot­to­li­nea­no in che modo l’efficacia del lavo­ro col­let­ti­vo, la tem­pe­sti­vi­tà nei cam­bia­men­ti, la fles­si­bi­li­tà dei com­por­ta­men­ti, sia­no con­sen­ti­te dall’inesistenza di livel­li e di caste chiu­se, dall’assenza di un “cul­to del capo”. Tut­to è fon­da­to sul­la for­ma­zio­ne con­di­vi­sa, sul­la visi­bi­li­tà del­le mete e dei per­cor­si, sui rap­por­ti di fidu­cia e di cor­re­spon­sa­bi­liz­za­zio­ne. La par­ti­co­la­re atten­zio­ne all’apertura cul­tu­ra­le del­le per­so­ne che entra­no in azien­da, la pro­po­sta di temi di cul­tu­ra gene­ra­le, i ser­vi­zi e le ini­zia­ti­ve cul­tu­ra­li dell’azienda, con­ver­go­no nel costrui­re un ambien­te ido­neo al dia­lo­go, un mon­do dispo­ni­bi­le a un costan­te aggior­na­men­to, uno spi­ri­to che non si appa­ga di una riu­sci­ta suf­fi­cien­te ma inten­de rea­liz­za­re l’eccellenza.

Cul­tu­ra sociale
Adria­no Oli­vet­ti pren­de con­tat­to con i peda­go­gi­sti stra­nie­ri pro­mo­to­ri del­la peda­go­gia atti­va, sen­za tra­la­scia­re quel­li ita­lia­ni, per orien­ta­re l’at­ti­vi­tà degli asi­li nido e del­le colo­nie e per for­ma­re le per­so­ne cui saran­no affi­da­ti i bam­bi­ni e i ragaz­zi. È sem­pre Adria­no che por­ta la cul­tu­ra psi­co­lo­gi­ca e la cul­tu­ra socio­lo­gi­ca in azien­da. Con deci­sio­ne, sen­za ten­ten­na­re, va avan­ti nel­la sua per­so­na­le idea azien­da­le. A lui si deve l’istituzione del Cen­tro Riqua­li­fi­ca­zio­ne Ope­rai. Si trat­ta di una strut­tu­ra che pre­pa­ra disa­bi­li a lavo­ra­re nei repar­ti del­l’a­zien­da, ospi­ta sta­bil­men­te pero­ne alle cui limi­ta­zio­ni van­no adat­ta­ti posti e attrez­zi di lavo­ro, tut­ti indi­vi­dui che devo­no esse­re segui­ti costan­te­men­te poi­ché neces­si­ta­no di cure par­ti­co­la­ri. È lui a chie­de­re con insi­sten­za, tra gli altri isti­tu­ti, il rego­la­men­to che assi­cu­ra nove mesi di per­mes­so retri­bui­to alla lavo­ra­tri­ce madre; crea il Cen­tro Rela­zio­ni Socia­li a sti­mo­lo e ser­vi­zio dei Comu­ni che abbi­so­gna­no di sostegno.

(ser­vi­zio trat­to dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)