L’umanesimo aziendale di Volponi e Adriano Olivetti

di Giu­sep­pe Bitetto

C’è una sce­na de La not­te, di Miche­lan­ge­lo Anto­nio­ni, in cui lo scrit­to­re Gio­van­ni Pon­ta­no si tro­va a col­lo­quio con il signor Ghe­rar­di­ni, che gli fa una pro­po­sta inde­cen­te: diven­ta­re diri­gen­te del­la sua azien­da. L’idea dell’industriale è quel­la di costrui­re, attra­ver­so la cul­tu­ra uma­ni­sti­ca, un pon­te fra impren­di­to­ri e ope­rai. Alle per­ples­si­tà dell’interlocutore, il sig. Ghe­rar­di­ni rispon­de : “Ma scu­si, lei non ha mai desi­de­ra­to di ren­der­si indipendente?”

Nel 1961, quan­do il capo­la­vo­ro del regi­sta fer­ra­re­se è sta­to pre­sen­ta­to, Pao­lo Vol­po­ni lavo­ra­va già da qual­che anno nell’impresa di Adria­no Oli­vet­ti e pro­prio in quel­la dimen­sio­ne ave­va tro­va­to l’indipendenza di cui i per­so­nag­gi di Anto­nio­ni par­la­no. Non è il pri­mo intel­let­tua­le a lavo­ra­re in azien­da: fin dal­la fon­da­zio­ne dell’Ufficio Svi­lup­po e Pub­bli­ci­tà, nel 1931, si era­no avvi­cen­da­ti sul­le scri­va­nie di Ivrea i poe­ti Leo­nar­do Sini­sgal­li e Gio­van­ni Giu­di­ci, il roman­zie­re Gior­gio Soa­vi, il cri­ti­co Geno Pam­pa­lo­ni – respon­sa­bi­le del­la biblio­te­ca azien­da­le – e una figu­ra di spic­co dell’intellighenzia ita­lia­na come Fran­co For­ti­ni. È quest’ultimo ad avvi­ci­na­re al pro­get­to oli­vet­tia­no il gio­va­ne Vol­po­ni, che allo­ra muo­ve­va i pri­mi pas­si nel­la poesia.

Pao­lo Volponi

L’intento di Oli­vet­ti è ope­ra­re su due fron­ti: da una par­te cura­re l’immagine ester­na del­la sua azien­da, intrat­te­nen­do stret­ti rap­por­ti con la stam­pa e spe­ri­men­tan­do lin­guag­gi pub­bli­ci­ta­ri inno­va­ti­vi; dall’altra crea­re un cli­ma di coe­sio­ne all’interno del per­so­na­le, così che la vita in fab­bri­ca non sia subor­di­na­ta solo alla mac­chi­na. Vuo­le dare modo ai suoi dipen­den­ti di arric­chir­si con sti­mo­li uma­ni­sti­ci, e per que­sto è inte­res­sa­to ad assu­me­re una serie di figu­re dal pro­fi­lo intel­let­tua­le, che sap­pia­no pen­sa­re in manie­ra tra­sver­sa­le. Se Giu­di­ci e For­ti­ni ottem­pe­ra­no alla pri­ma fun­zio­ne, ponen­do­si di fat­to come pro­to­ti­pi dei moder­ni crea­ti­vi, Vol­po­ni e il col­le­ga Ottie­ro Ottie­ri, assun­to que­gli stes­si anni, si occu­pa­no del­la secon­da, più deli­ca­ta, man­sio­ne. Nel libro Il leo­ne e la vol­pe, in un dia­lo­go con Fran­ce­sco Leo­net­ti che riper­cor­re la pro­pria espe­rien­za poe­ti­ca, Vol­po­ni ricor­da così i pri­mi con­tat­ti con For­ti­ni Oli­vet­ti, e tut­to l’ambiente azien­da­le: “ll mio cur­ri­cu­lum vitae lo scris­se a mac­chi­na Fran­co For­ti­ni nel ’49 a Mila­no. For­ti­ni lavo­ra­va all’Olivetti ma non era un ‘oli­vet­tia­no’, nel sen­so che non era un ammi­ra­to­re di Adria­no: ave­va con lui dei con­flit­ti. Si sti­ma­va­no reci­pro­ca­men­te e si disap­pro­va­va­no: si cri­ti­ca­va­no mol­to però si rispettavano.”

Pao­lo Vol­po­ni (ter­zo da destra)
Fran­co Fortini

Il loro lavo­ro all’interno dell’Ufficio del Per­so­na­le è quel­lo di far sì che l’imprenditore abbia una rela­zio­ne con gli ope­rai, si fac­cia cono­sce­re da loro, così da far­li sen­ti­re dav­ve­ro par­te di un pro­get­to, di un’organizzazione col­let­ti­va in cui le con­di­zio­ni di lavo­ro sia­no digni­to­se e l’operato di ognu­no ven­ga rico­no­sciu­to. Per que­sto Vol­po­ni e Ottie­ri orga­niz­za­no dibat­ti­ti e atti­vi­tà socia­li, e stam­pa­no diver­si gior­na­li all’interno dell’azienda, come Noti­zie Oli­vet­tiLo stes­so Adria­no ave­va fon­da­to, sin dal 1946, la casa edi­tri­ce Edi­zio­ni Comu­ni­tà, che si inte­res­sa­va di archi­tet­tu­ra, filo­so­fia e scien­za socia­li. Sot­to la gui­da di Vol­po­ni la Oli­vet­ti amplia il pro­get­to di map­pa­tu­ra uma­ni­sti­ca, man­te­nen­do la linea razio­na­li­sta indi­ca­ta da Adriano.

Può sem­bra­re un con­tro­sen­so che scrit­to­ri mar­xi­sti come For­ti­ni e Vol­po­ni si met­ta­no al ser­vi­zio di ciò che dovreb­be­ro con­tra­sta­re, ma si trat­ta dell’opportunità di vive­re la fab­bri­ca dall’interno per for­ni­re una base con­cre­ta alle spe­cu­la­zio­ni mar­xi­ste. E poi, se il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio non può esse­re mes­so in atto nel bre­ve perio­do, allo­ra tan­to vale ope­ra­re in modo più sfu­ma­to per il bene del­la comu­ni­tà occu­pan­do­si in que­sto caso del­la qua­li­tà del­la dimen­sio­ne azien­da­le, col­ti­van­do gli aspet­ti uma­ni e le rela­zio­ni inter­per­so­na­li degli ope­rai. All’interno del­la fab­bri­ca, Vol­po­ni e Ottie­ri appro­fon­di­sco­no i vin­co­li tra ope­rai, tem­pi che scan­di­sco­no il lavo­ro, la psi­co­lo­gia degli uomi­ni in rela­zio­ne alla mac­chi­na. Con que­sti ele­men­ti gli scrit­to­ri for­gia­no le loro ope­re, capo­sal­do del­la let­te­ra­tu­ra industriale.

Memo­ria­le, il roman­zo d’esordio di Vol­po­ni, esce nel 1962. Oli­vet­ti è mor­to da due anni, i rap­por­ti tra Vol­po­ni e l’azienda ini­zia­no a incri­nar­si per­ché lo scrit­to­re accu­sa i nuo­vi diri­gen­ti di non tene­re fede al pro­get­to del pre­de­ces­so­re e di sper­pe­rar­ne pro­gres­si­va­men­te l’eredità. Memo­ria­le è una cro­na­ca dura del­la vita di fab­bri­ca, in cui si inda­ga­no i pro­ces­si di pro­du­zio­ne e la schia­vi­tù dell’operaio, lega­to al rit­mo del­la cate­na di mon­tag­gio anche al di fuo­ri dell’orario di lavo­ro. La scrit­tu­ra di Vol­po­ni è qua­si dia­ri­sti­ca. Egli pene­tra la men­te del suo pro­ta­go­ni­sta e ne met­te in luce i ragio­na­men­ti, i lega­mi con i col­le­ghi – ope­rai, super­vi­so­ri o diri­gen­ti – il rap­por­to con il pro­prio cor­po, per­ce­pi­to come ingra­nag­gio di un mac­chi­na­rio di cui non si scor­go­no i con­fi­ni, ma anche come stru­men­to di lot­ta per l’emancipazione.

Nel­la poe­ti­ca di Vol­po­ni è impor­tan­te distin­gue­re un cer­to illu­mi­ni­smo di fon­do dal­la cri­ti­ca dei rap­por­ti di for­za del pre­sen­te: lo scrit­to­re di Urbi­no infat­ti cre­de nel­la poten­za libe­ra­tri­ce del­la tec­ni­ca, nell’emancipazione dell’uomo attra­ver­so il pro­gres­so tec­no­lo­gi­co. Uno svi­lup­po che, secon­do le sue coor­di­na­te, spes­so è mes­so a rischio dal­la logi­ca del pro­fit­to, dall’egoismo del padro­ne che ridu­ce l’operario a ingra­nag­gio. In que­sto sol­co si iscri­ve la sua espe­rien­za alla Oli­vet­ti, ovve­ro il ten­ta­ti­vo di con­ci­lia­re il mate­ria­li­smo con la pos­si­bi­li­tà di costrui­re un’alternativa uma­ni­sti­ca al pro­ces­so indu­stria­le. Un pun­to di vista che si espri­me bene nel roman­zo seguen­te, La mac­chi­na mon­dia­le, vin­ci­to­re del Pre­mio Stre­ga nel 1965, e che si pre­sen­ta come l’utopica para­bo­la di Anteo Cro­cio­ni, filo­so­fo-inven­to­re neoil­lu­mi­ni­sta, costrui­to sul­la psi­co­lo­gia dell’autore. Le fan­ta­sie di pro­gres­so del­lo scrit­to­re si pre­ci­sa­no ne Il pia­ne­ta irri­ta­bi­le, sor­ta di fia­ba dai risvol­ti fan­ta­scien­ti­fi­ci, che inda­ga un ipo­te­ti­co futu­ro eco­lo­gi­sta. Tra que­sti si inse­ri­sce il capo­la­vo­ro Cor­po­ra­le, con­fes­sio­ne-fiu­me in veste di roman­zo, in cui l’autore fa il bilan­cio del suo ope­ra­to di intel­let­tua­le e diri­gen­te, met­ten­do il luce l’incontro-scontro con il men­to­re Adria­no. Oli­vet­ti è incar­na­to in Ove­rath, figu­ra mefi­sto­fe­li­ca che nel cor­so del­la nar­ra­zio­ne appa­re come un anta­go­ni­sta, ma anche come un padre, una figu­ra di riferimento.

Vol­po­ni rimar­rà fino al 1971 nell’azienda, e indi­che­rà que­sti anni come il perio­do miglio­re del­la sua vita.

Lo scrit­to­re rico­no­sce a Oli­vet­ti una visio­ne fuo­ri dal comu­ne, non solo per quan­to riguar­da la for­ma­zio­ne degli ope­rai, ma anche per la costru­zio­ne degli spa­zi di vita. “Adria­no ave­va gran­di archi­tet­ti che gli ave­va­no pro­get­ta­to fab­bri­che bel­lis­si­me, case per gli ope­rai, un’urbanistica per la fab­bri­ca di Ivrea,” scri­ve anco­ra ne Il leo­ne e la vol­pe. E pro­prio Ivrea è sim­bo­lo rea­le del sogno oli­vet­tia­no per­ché “Non è mai diven­ta­ta un cen­tro con­vul­so, una peri­fe­ria indu­stria­le nel sen­so cor­ren­te del­la paro­la, una cit­tà squal­li­da, come dor­mi­to­rio, ma è rima­sta una cit­ta­di­na che è cre­sciu­ta bene, con bei quar­tie­ri, bel­le case, ser­vi­zi e tra­spor­ti organizzati.”

Sta­bi­li­men­ti Oli­vet­ti a Ivrea
Dopo i con­tra­sti con la nuo­va pro­prie­tà, Vol­po­ni pas­sa alla Fiat, ma i rap­por­ti non decol­le­ran­no mai. Dopo qual­che anno è costret­to ad abban­do­na­re l’azienda per­ché i diri­gen­ti non tol­le­ra­no la sue idee comu­ni­ste. Dall’esperienza trar­rà Le mosche del capi­ta­le, sati­ra dell’economia finan­zia­riz­za­ta. Alla fine del­la sua vita Vol­po­ni vede gli idea­li di pro­gres­so per cui ha ope­ra­to, scon­fes­sa­ti da poli­ti­che azien­da­li eva­ne­scen­ti, da clas­si diri­gen­ti divi­se per caste, da una tec­no­lo­gia sem­pre più astrat­ta, indo­ma­bi­le e fine a se stessa.
Pao­lo Vol­po­ni – foto di Mario Dondero

L’autore, mor­to nel 1994, non ha vis­su­to abba­stan­za per vede­re com­pier­si quel cli­ma cul­tu­ra­le che lui ave­va solo pre­sa­gi­to. Se è vero che la Oli­vet­ti è sta­ta la pri­ma azien­da ita­lia­na ad apri­re una sede nel­la Sili­con Val­ley – nel ’73 a Moun­tain View, dove oggi tro­neg­gia la sede di Goo­gle – sem­bra anche che l’ideologia cali­for­nia­na abbia pre­so il testi­mo­ne del­la visio­ne oli­vet­tia­na capo­vol­gen­do­la di sen­so: il dog­ma del­la crea­ti­vi­tà all’interno dei colos­si tec­no­lo­gi­ci è ora solo uno stru­men­to per depre­da­re le idee dei dipen­den­ti e ali­men­ta­re la logi­ca del pro­fit­to. Tan­to più che gli uffi­ci ario­si e pie­ni di biz­zar­rie del­la new eco­no­my – con il suo cli­ma appa­ren­te­men­te rilas­sa­to e gio­co­so – appan­nag­gio del­la casta impie­ga­ti­zia più avan­za­ta. Il pro­ces­so di pro­du­zio­ne dei pro­dot­ti tec­no­lo­gi­ci vede con­di­zio­ni di lavo­ro al limi­te del­la schia­vi­tù, uno sce­na­rio che avreb­be fat­to inor­ri­di­re Vol­po­ni e, cre­do, lo stes­so Oli­vet­ti. Oggi i sogni di pro­gres­so di intel­let­tua­li come For­ti­ni o Vol­po­ni si sono tra­sfor­ma­ti in incu­bi di dif­fi­ci­le discer­ni­men­to, e for­se dovrem­mo comin­cia­re a guar­da­re ai ten­ta­ti­vi di con­tat­to tra ragio­ne scien­ti­fi­ca e uma­ni­sti­ca, così copio­si nel nostro recen­te pas­sa­to, per impa­ra­re a leg­ge­re il pre­sen­te in manie­ra diver­sa e più cri­ti­ca. Think dif­fe­rent: c’è qual­cu­no che ci ha pro­va­to dav­ve­ro, e non è chi gover­na oggi per cui “il pen­sie­ro dif­fe­ren­te” si limi­ta a esse­re uno slo­gan vuo­to che nascon­de l’intenzione di accu­mu­la­re sem­pre più profitto.

La not­te