Paolo Volponi, l’Urbinate olivettiano

Le tre pro­fes­sio­ni di Pao­lo Vol­po­ni [1]
di Fede­ri­co Bute­ra [2]

Pao­lo Volponi

Pao­lo Vol­po­ni è sta­to il mio capo quan­do ho lavo­ra­to in Oli­vet­ti a Ivrea. Anzi, dopo la nasci­ta del­lo sta­bi­li­men­to di Poz­zuo­li e dopo la pub­bli­ca­zio­ne del suo Memo­ria­le, gli scris­si da Paler­mo per dir­gli che sta­vo per fare il con­cor­so del­la magi­stra­tu­ra, pen­sa­vo che sen­za por­ta­re in Sici­lia lavo­ro di qua­li­tà non si sareb­be potu­to scon­fig­ge­re la mafia, che avrei avu­to pia­ce­re di fare sei mesi a Ivrea per vede­re come si fa: dopo 15 gior­ni mi fece chia­ma­re a Roma e mi fu pro­po­sta una assun­zio­ne, che accet­tai pen­san­do di tor­na­re pre­sto in Sici­lia. Inve­ce restai a Ivrea dal 1962 al 1973 pri­ma alla gestio­ne del per­so­na­le, poi – pro­prio su “impo­si­zio­ne” di Pao­lo Volponi–diventando il respon­sa­bi­le del­la sele­zio­ne dei lau­rea­ti assu­men­do in un anno e mez­zo 420 neo­lau­rea­ti e con espe­rien­za, e infi­ne sosti­tuen­do Lucia­no Gal­li­no alla dire­zio­ne del Ser­vi­zio Ricer­che Socio­lo­gi­che e Stu­di sull’Organizzazione, dove ho segui­to il pro­gram­ma di nasci­ta del­le iso­le di montaggio.

Pao­lo Vol­po­ni, tre pro­fes­sio­ni lega­te ricor­si­va­men­te fra loro.

Pao­lo Vol­po­ni è sta­to un gran­dis­si­mo poe­ta e roman­zie­re che attra­ver­so un gran nume­ro di per­so­nag­gi rac­con­ta stes­so, come figu­ra para­dig­ma­ti­ca di chi, strap­pa­to dal­la civil­tà del­le aree inter­ne ita­lia­ne dicit­tà nobi­li come Urbi­no e del­le cam­pa­gne, entra in con­tat­to con il mon­do indu­stria­le del­le fab­bri­che, del­le gran­di cit­tà, dei gran­di con­flit­ti socia­li fra capi­ta­le e lavo­ro: egli tra­sfor­ma que­sto vis­su­to in poe­sia e in rac­con­to civi­le, in una nar­ra­zio­ne ric­ca e com­ples­sa che ha allo sfon­do la tra­sfor­ma­zio­ne dell’Italia del dopo­guer­ra. Vol­po­ni fu auto­re fra l’altro del­la memo­ra­bi­le rac­col­ta di poe­sie Le por­te dell’Appennino del 1960, pre­mia­to con il pre­mio Via­reg­gio. È sta­to un gran­de, fecon­do e con­tro­ver­so roman­zie­re, con il suo libro a mio avvi­so più bel­lo Memo­ria­le del 1962 e con mol­ti altri fra cui i due che otten­ne­ro il pre­mio Stre­ga, La mac­chi­na mon­dia­le del 1965 e La stra­da per Roma, del 1991. La sua pas­sio­ne civi­le e poli­ti­ca è alla base dei suoi roman­zi, mai però dida­sca­li­ci, mai por­ta­to­ri di tesi pre­con­fe­zio­na­te e di pro­cla­mi. Pri­ma di fede repub­bli­ca­na, poi di fede comu­ni­sta, fu sena­to­re indi­pen­den­te del Pci e suc­ces­si­va­men­te depu­ta­to di Rifon­da­zio­ne Comu­ni­sta. Vol­po­ni fre­quen­tò gli ambien­ti let­te­ra­ri e intel­let­tua­li roma­ni e mila­ne­si. I cri­ti­ci let­te­ra­ri che mol­to han­no scrit­to di lui san­no bene che lavo­rò alla Oli­vet­ti, alla Fiat, alla Rai, alla Finar­te: ma la loro imma­gi­ne pre­va­len­te è che que­ste furo­no atti­vi­tà svol­te per assi­cu­rar­gli le risor­se per la sua atti­vi­tà di poe­ta e roman­zie­re e per la sua pas­sio­ne di col­le­zio­ni­sta di pit­to­ri del ‘600. Nul­la di più sba­glia­to: furo­no pro­fes­sio­ni eser­ci­ta­te con impe­gno, pas­sio­ne e professionalità.

La secon­da pro­fes­sio­ne, infat­ti, fu quel­la del diri­gen­te indu­stria­le di una azien­da sin­go­la­re come la Oli­vet­ti. Vol­po­ni vie­ne chia­ma­to da Adria­no Oli­vet­ti che gli offre l’opportunità di tra­dur­re in pra­ti­ca l’utopia di un capi­ta­li­smo rifor­ma­to dal vol­to uma­no, pri­ma affi­dan­do­gli l’incarico di svi­lup­pa­re pro­get­ti di pia­ni­fi­ca­zio­ne socia­le con l’UNRA-CASAS a Ivrea e a Mate­ra; poi affi­dan­do­gli i ser­vi­zi socia­li del­la Oli­vet­ti. Dopo la mor­te di Adria­no, vie­ne nomi­na­to Diret­to­re del Per­so­na­le (Dire­zio­ne rela­zio­ni Azien­da­li, come lui ribat­tez­zò quel­la Dire­zio­ne). E infi­ne nel 1971 è in pre­di­ca­to per diven­ta­re l’Amministratore dele­ga­to del­la Socie­tà ma gli vie­ne pro­po­sto di esse­re affian­ca­to da un Ammi­ra­glio lon­ta­no dal­la cul­tu­ra Oli­vet­ti ma che assi­cu­ra­va fedel­tà al grup­po che ave­va pre­so il con­trol­lo del­la Socie­tà. Vol­po­ni fu uno straor­di­na­rio diri­gen­te indu­stria­le effi­cien­te, effi­ca­ce, di suc­ces­so fin­ché non si è dimes­so nel 1971.

La ter­za pro­fes­sio­ne, che flui­sce inin­ter­rot­ta­men­te come un mag­ma sot­ter­ra­neo sot­to le pri­me due, ma che poi, dopo il 1971 si ren­de auto­no­ma, è quel­la del rifor­ma­to­re socia­le e del poli­ti­co. L’esperienza gio­va­ni­le di Vol­po­ni che vede entra­re a Urbi­no nel 1944 le trup­pe allea­te lo ave­va orien­ta­to alla sen­si­bi­li­tà ver­so i pro­gram­mi di rico­stru­zio­ne dell’Italia usci­ta dal­la guer­ra e dal fasci­smo e ver­so la dimen­sio­ne socia­le di que­sta rico­stru­zio­ne. Negli anni 1945–1960 – rac­con­tò Vol­po­ni – s’è lavo­ra­to mol­to, tut­ti: si cre­de­va di costrui­re l’Italia demo­cra­ti­ca, l’Italia del­la Libe­ra­zio­ne e dell’unità nazio­na­le, si pen­sa­va di tra­sfor­mar­la attra­ver­so le rifor­me. Ades­so le cri­si sono tan­te, anche fra­zio­na­te ad arte: cri­si poli­ti­ca, cri­si eco­no­mi­ca, cri­si ener­ge­ti­ca, cri­si del­la ragio­ne. Ma la cri­si cen­tra­le, vera e più gra­ve, sta nel­la man­can­za di un pro­get­to socia­le mol­to ampio, aper­to a tan­ti con­tri­bu­ti, accet­ta­bi­le per tut­ti. Que­sto pro­get­to divie­ne la sua osses­sio­ne negli anni.

Quel­la stes­sa pas­sio­ne civi­le e poli­ti­ca lo ha soste­nu­to in tut­te le sue atti­vi­tà come scrit­to­re e come diri­gen­te. Ma dal 1973 divie­ne anche la sua pro­fes­sio­ne pre­va­len­te, facen­do pri­ma il con­su­len­te di ver­ti­ce del­la Fiat e il diri­gen­te del­la Fon­da­zio­ne Agnel­li, poi elet­to sena­to­re e depu­ta­to del­la Repub­bli­ca. Vol­po­ni fu soste­ni­to­re di una impre­sa rifor­mi­sta e demo­cra­ti­ca, di un capi­ta­li­smo ripen­sa­to, ossia un Poli­ti­co di ampie visio­ni. In que­sto ruo­lo rima­se un uto­pi­sta sen­za diven­ta­re un uomo poli­ti­co di suc­ces­so come lo fu come scrit­to­re e diri­gen­te poi­ché fu con­ti­nua­men­te respin­to e delu­so dal pote­re. Il poli­ti­co com­bat­te il pote­re con il pote­re e non solo con le idee: Vol­po­ni si è misu­ra­to sem­pre con il pote­re sen­za oppor­vi però altro pote­re che quel­lo del­le idee.


Cosa ha fat­to Vol­po­ni alla Olivetti

Vol­po­ni ha con­tri­bui­to a svi­lup­pa­re in Oli­vet­ti un siste­ma di wel­fa­re azien­da­le anco­ra insu­pe­ra­to e poi , come Diret­to­re del Per­so­na­le, ha gui­da­to le fun­zio­ni di sele­zio­ne e for­ma­zio­ne di una clas­se di diri­gen­ti, tec­ni­ci, lavo­ra­to­ri, uno “scri­gno di com­pe­ten­ze” che alla fine degli anni ‘70 avran­no fat­to il mira­co­lo di sal­va­re la Oli­vet­ti dal pos­si­bi­le fal­li­men­to dovu­to alla per­di­ta del­la eccel­len­za tec­no­lo­gi­ca mec­ca­ni­ca segui­ta all’ingresso dell’elettronica nel­la pro­du­zio­ne di mac­chi­ne per uffi­cio: ne par­le­re­mo avanti.

Vol­po­ni, su invi­to di Adria­no Oli­vet­ti, comin­cia a lavo­ra­re all’UNRA-CASAS un pro­gram­ma di rico­stru­zio­ne non solo fisi­ca di case e pae­si distrut­ti o fati­scen­ti, di stra­de e pon­ti ma anche di rico­stru­zio­ne socia­le: ci voglio­no archi­tet­ti e mura­to­ri ma anche esper­ti di scien­ze socia­li. È qui che ini­zia la col­la­bo­ra­zio­ne con archi­tet­ti, socio­lo­gi, assi­sten­ti socia­li. Lavo­ra al pro­get­to del quar­tie­re Mar­tel­la di Mate­ra che dove­va offri­re con­di­zio­ni di vita più sane e digni­to­so agli abi­tan­ti dei Sas­si, un pro­get­to nobi­le ma in par­te non riu­sci­to. Il tema del­la distru­zio­ne del­la civil­tà con­ta­di­na sosti­tui­ta da una civil­tà indu­stria­le dai carat­te­ri non chia­ri e non tut­ti benè­fi­ci, che men­tre crea lavo­ro spes­so lo dequa­li­fi­ca, costrui­sce cit­tà invi­vi­bi­li, distrug­ge comu­ni­tà sen­za rico­struir­ne di nuo­ve, apre con­flit­ti acu­ti. Il lin­guag­gio poli­ti­co del tem­po sin­te­tiz­za tut­to que­sto come il con­tra­sto fra capi­ta­le e lavo­ro, fra for­ze con­ser­va­tri­ci e sini­stra, den­tro l’inizio del­la guer­ra fred­da: Vol­po­ni vive que­ste lace­ra­zio­ni ma la sua rispo­sta è atti­va: fare, pro­get­ta­re un futu­ro, raccontare.

Non deve sor­pren­de­re quin­di che Vol­po­ni accet­ti di assu­me­re la respon­sa­bi­li­tà dei ser­vi­zi socia­li del­la Oli­vet­ti sen­za mol­ti pro­ble­mi ideo­lo­gi­ci o poli­ti­ci in una azien­da che sta­va svi­lup­pan­do for­me avan­za­tis­si­me di wel­fa­re azien­da­le (come oggi si chia­ma) e di svi­lup­po del­le comu­ni­tà : biblio­te­che, ser­vi­zi sani­ta­ri, ser­vi­zi psi­co­lo­gi­ci, assi­sten­za socia­le, asi­li, colo­nie di altis­si­mo livel­lo non solo inte­gra­va­no i ser­vi­zi nazio­na­li insuf­fi­cien­ti ad assi­cu­ra­re agli ope­rai una vita decen­te ma soprat­tut­to rap­pre­sen­ta­va­no un pos­si­bi­le model­lo da pro­por­re ad altre azien­de, ter­ri­to­ri, poli­ti­che nazio­na­li. Vol­po­ni si impe­gna a capo fit­to con pas­sio­ne e com­pe­ten­za e fa dei ser­vi­zi socia­li Oli­vet­ti un model­lo che è sta­to imi­ta­to anche ai gior­ni nostri ma mai egua­glia­to. Le cri­ti­che del Par­ti­to Comu­ni­sta e del­la CGIL al sup­po­sto “pater­na­li­smo” di Adria­no Oli­vet­ti, cre­do che non lo sfio­ri­no più di tan­to tran­ne che nel­le con­ver­sa­zio­ni con i suoi ami­ci intel­let­tua­li roma­ni come Paso­li­ni, Mora­via, Gut­tu­so e altri‑, in cui tal­vol­ta sen­te di dover­si giu­sti­fi­ca­re di esse­re “a ser­vi­zio dei padroni”.

Dopo la mor­te di Adria­no, Vol­po­ni vie­ne nomi­na­to Capo del Per­so­na­le, anzi Diret­to­re del­la Dire­zio­ne Rela­zio­ni Indu­stria­li – come lui la ribat­tez­zò – che inclu­de­va la gestio­ne del­le retri­bu­zio­ni di tut­to il per­so­na­le dai diri­gen­ti agli ope­rai, la valu­ta­zio­ne, le assun­zio­ni, la for­ma­zio­ne, il coun­se­ling al per­so­na­le di fab­bri­ca allo­ra defi­ni­to “gestio­ne del per­so­na­le”, i cen­tri di socio­lo­gia e di psi­co­lo­gia, le rela­zio­ni sin­da­ca­li, le rela­zio­ni isti­tu­zio­na­li anche i ser­vi­zi socia­li, che affi­de­rà a Gian­no­rio Neri. Con que­sto Vol­po­ni da una par­te entra­va nel vivo di quel­la con­di­zio­ne lavo­ra­ti­va di ope­rai e impie­ga­ti che ave­va stu­dia­to da lon­ta­no e dall’altra entra­va nei rap­por­ti di pote­re al ver­ti­ce dell’azienda. Maria Lau­ra Erco­la­ni nel suo libro cita­to ha tro­va­to docu­men­ti di Vol­po­ni che espri­mo­no la sua visio­ne rifor­ma­tri­ce: rior­ga­niz­za­re la tec­no­strut­tu­ra e libe­ra­re il lavo­ro, abi­li­ta­re e respon­sa­bi­liz­za­re diri­gen­ti e qua­dri, soprat­tut­to crea­re una ten­sio­ne ver­so la rea­liz­za­zio­ne di una azien­da demo­cra­ti­ca. Vivi­da l’intenzione di Vol­po­ni non solo di gesti­re nel modo miglio­re le per­so­ne ma di pre­pa­ra­re una strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va e un model­lo pro­fes­sio­na­le che si allon­ta­nas­se dal model­lo buro­cra­ti­co e tay­lor­for­di­sta che domi­na­va anche nel­la uma­na azien­da Oli­vet­ti. Si cir­con­da di gio­va­ni bril­lan­tis­si­mi: da Umber­to Chap­pe­ron, a Tul­lio Lem­bo, a Gior­gio Aro­na, a Roma­no Gabrie­le, a Gio­van­ni Mag­gio, a Gian­no­rio Neri, a Rena­to Roz­zi, a Tizia­no Ter­za­ni: io ero il più gio­va­ne e di gran lun­ga il meno intel­let­tua­le. Si appog­gia a gigan­ti come Gui­do Calo­ge­ro, Cesa­re Musat­ti, Fran­co Momi­glia­no. Non ha tem­po di rea­liz­za­re tra­sfor­ma­zio­ni con­si­sten­ti nel­la strut­tu­ra orga­niz­za­ti­va e del lavo­ro ma fa mol­te cose cru­cia­li che pre­di­spon­go­no la rivo­lu­zio­ne post-tay­lo­ri­sti­ca del 1969 e accre­di­ta­no lui per assu­me­re più tar­di l’incarico di Ammi­ni­stra­to­re Dele­ga­to: un vasto e inno­va­ti­vo pia­no di for­ma­zio­ne di diri­gen­ti e qua­dri indu­stria­li e com­mer­cia­li, svol­to nel­le scuo­le azien­da­li e in USA; l’assunzione di oltre 400 lau­rea­ti sia neo che con espe­rien­za; l’attivazione di grup­pi di stu­dio per le rifor­me; una serie di con­ve­gni inter­ni mol­to avan­za­ti ( fra cui quel­lo sui Capi Inter­me­di a vil­la Nata­lia a Firen­ze in cui per la pri­ma si annun­cia­va che era pos­si­bi­le asse­gna­re mag­gio­ri respon­sa­bi­li­tà alle deci­ne di miglia­ia di ope­rai e impie­ga­ti d’ordine che sof­fri­va­no del lavo­ro in fran­tu­mi). Inau­gu­ra un diri­ge­re diver­so. E inol­tre Vol­po­ni scri­ve pro­po­ste di rifor­ma dell’impresa che pre­sen­te­rà nel 71 al Pre­si­den­te Visen­ti­ni e alla pro­prie­tà, malau­gu­ra­ta­men­te sen­za effetti.

Nel 1969, Gal­li­no va via e Vol­po­ni mi affi­da il Ser­vi­zio di Ricer­che Socio­lo­gi­che e Stu­di sull’Organizzazione. Io mi dedi­co a coor­di­na­re un pro­gram­ma di ricer­ca e inter­ven­to sul­le tra­sfor­ma­zio­ni orga­niz­za­ti­ve in fab­bri­ca. Le idee era­no in gran par­te quel­le svi­lup­pa­te e discus­se con Vol­po­ni e con il suo team ma ora l’occasione sto­ri­ca era attua­le e dram­ma­ti­ca. Oli­vet­ti in que­gli anni era un’azienda di 40.000 dipen­den­ti che ave­va avu­to uno svi­lup­po for­mi­da­bi­le ma che ave­va subi­to lo scip­po del­la gran­de elet­tro­ni­ca. Inol­tre- a cau­sa del­la con­cor­ren­za del­le mac­chi­ne elet­tro­ni­che giap­po­ne­si- si tro­va­va di fron­te all’obsolescenza del­la sua tec­no­lo­gia di base, di pro­dot­to e pro­du­zio­ne: dai pez­zi di fer­ro ai chip. Ricer­cam­mo su quel­lo che avve­ni­va in azien­da, stu­diam­mo quan­to acca­de­va nel mon­do e insie­me con i mana­ger e tec­ni­ci del­la pro­du­zio­ne pro­po­nem­mo e svi­lup­pam­mo un nuo­vo model­lo di pro­du­zio­ne. Sco­prim­mo che era pos­si­bi­le attua­re una moda­li­tà pro­dut­ti­va fles­si­bi­le che i tec­ni­ci in modo spe­ri­men­ta­le sta­va­no già esco­gi­tan­do. Il Diret­to­re di Pro­du­zio­ne Gri­bau­do les­se il mio report del­la pri­ma fase del­la ricer­ca, mi chia­mò alle 20 a casa e mi chie­se “Bute­ra, ma è vero che noi stia­mo facen­do que­ste cose?” e io gli rispo­si “Sì, ma non ave­te capi­to il signi­fi­ca­to e le impli­ca­zio­ne di que­sti espe­ri­men­ti”. “Ven­ga doma­ni mat­ti­na alle 8”, E così avviam­mo un pro­get­to di rior­ga­niz­za­zio­ne dei siste­mi pro­dut­ti­vi, un pro­get­to di Chan­ge Mana­ge­ment Strut­tu­ra­le come poi lo avrei chia­ma­to. Smon­tan­do le lun­ghe cate­ne di mon­tag­gio e costi­tuen­do iso­le di pro­du­zio­ne, nac­que­ro così le Iso­le di Mon­tag­gio, le UMI (Uni­tà di mon­tag­gio Inte­gra­te) che rap­pre­sen­ta­ro­no un nuo­vo modo di pro­du­zio­ne, par­te­ci­pa­to dal sin­da­ca­to, con un impo­nen­te pro­gram­ma di rior­ga­niz­za­zio­ne del­le attrez­za­tu­re, del­la logi­sti­ca, del­le for­ma­zio­ne degli ope­rai, qua­dri e diri­gen­ti. L’Olivetti per que­sto soprav­vis­se men­tre l’Olimpia, il suo com­pe­ti­tor più gran­de, chiuse.

Intan­to il prof. Bru­no Visen­ti­ni, Pre­si­den­te del­la Oli­vet­ti e già Mini­stro del­le Finan­ze, pro­po­ne in un pri­mo momen­to a Vol­po­ni di assu­me­re l’incarico di Ammi­ni­stra­to­re Dele­ga­to. Vol­po­ni ha dub­bi testi­mo­nia­ti dal­le let­te­ra Paso­li­ni e ad altri. Poi dice di sì e pre­sen­ta un pia­no. I con­te­nu­ti di que­sto pia­no illu­mi­na­to sono rac­con­ta­ti nel roman­zo Le mosche del capi­ta­le. Il pia­no è pre­sen­ta­to da Sarac­ci­ni (Vol­po­ni) al Pre­si­den­te Nasà­pe­ti (Visen­ti­ni) alla vigi­lia del­la sua pro­spet­ta­ta nomi­na ad Ammi­ni­stra­to­re Dele­ga­to. Quan­do Visen­ti­ni gli comu­ni­ca che il Grup­po di Con­trol­lo vuo­le una diar­chia con l’ammiraglio, inge­gner Otto­ri­no Bel­tra­mi, per­so­na di una cul­tu­ra orto­go­na­le a quel­la del­la Oli­vet­ti, Vol­po­ni si dimet­te sbat­ten­do la porta.


L’esperienza di Vol­po­ni come rifor­ma­to­re politico

Sem­bra la fine dell’utopia si esse­re a capo di una azien­da inno­va­ti­va e demo­cra­ti­ca che ave­va gui­da­to la sua avven­tu­ra in azien­da. Inve­ce Umber­to e Gian­ni Agnel­li lo inca­ri­ca­no di far­ne un pro­get­to appa­ren­te­men­te simi­le per la Fiat. Però que­sta ipo­te­si di rifor­ma octroyè in una azien­da che non ave­va lo “scri­gno di com­pe­ten­ze” e l’“anima” del­la Oli­vet­ti non pote­va fun­zio­na­re. E infat­ti la scu­sa fu che, quan­do si vie­ne a sape­re che Vol­po­ni ave­va appog­gia­to la lista del PCI, egli vie­ne pri­ma mes­so ai mar­gi­ni e poi invia­to alla Fon­da­zio­ne Agnel­li, da cui pre­sto si dimise.

Come sena­to­re del PCI e poi di depu­ta­to di Rifon­da­zio­ne Comu­ni­sta con­ti­nue­rà a scri­ve­re, a fare pro­po­ste par­la­men­ta­ri nel­lo spi­ri­to del­la sua espe­rien­za oli­vet­tia­na, ma dal Sena­to non emer­ge alcun pro­gram­ma di rifor­ma dell’impresa e del lavo­ro con­cor­da­ta con impren­di­to­ri e sin­da­ca­ti, come frat­tan­to sta­va avve­nen­do in Ger­ma­nia con la Mit­be­stim­mung e in Scan­di­na­via con l’Industrial Democracy.

Vol­po­ni è affa­sci­na­to dal pote­re con cui entra in con­tat­to con l’intenzione di pie­gar­lo ai suoi idea­li: ma con­tro il pote­re del Grup­po di Con­trol­lo dell’Olivetti, del­la diri­gen­za Fiat, degli appa­ra­ti comu­ni­sti e demo­cri­stia­ni, la sola for­za del­le idee è desti­na­ta a perdere.

L’eredità di Vol­po­ni però rima­ne viva nei suoi scrit­ti, nei pro­get­ti, nei per­cor­si. Rima­ne viva e diven­ta strut­tu­ra nel­la tra­sfor­ma­zio­ne indu­stria­le del­la Oli­vet­ti a cui lui ave­va dato un con­tri­bu­to impor­tan­te. Oggi all’inizio del­la quar­ta rivo­lu­zio­ne indu­stria­le di quei model­li e di quei per­cor­si c’è un biso­gno mag­gio­re che negli anni ‘70 e ‘80.

Il futu­ro del nostro pae­se nel 2024 è sem­pre più lega­to alla valo­riz­za­zio­ne del lavo­ro e del­le orga­niz­za­zio­ni: alla visio­ne di un Pae­se che ripo­si­zio­na ver­so l’alto la pro­pria pro­du­zio­ne di beni e ser­vi­zi aumen­tan­do la pro­pria quo­ta di fat­tu­ra­to sul mer­ca­to mon­dia­le; che svi­lup­pa siste­mi di impre­sa rete e eco­si­ste­mi cogni­ti­vi; che valo­riz­za l’enorme patri­mo­nio di impren­di­to­ria e di beni natu­ra­li, arti­sti­ci e cul­tu­ra­li; che miglio­ra la pro­dut­ti­vi­tà anche con l’adozione di tec­no­lo­gie digi­ta­li e di intel­li­gen­za arti­fi­cia­le; che esal­ta il saper fare ita­lia­no; che poten­zia i siste­mi edu­ca­ti­vi; che rior­ga­niz­za la pub­bli­ca ammi­ni­stra­zio­ne; che rispet­ta i dirit­ti: che ridu­ce le disu­gua­glian­ze; che assi­cu­ra lega­li­tà e giu­sti­zia in tem­pi giu­sti; che pro­teg­ge l’ambiente.

L’esperienza e l’eredità di Vol­po­ni ha a che fare anco­ra oggi con tut­to que­sto met­ten­do al cen­tro la rifor­ma dell’impresa e la valo­riz­za­zio­ne del lavo­ro e del­le per­so­ne. Oggi occor­re inco­rag­gia­re e met­te­re in con­nes­sio­ne i pro­get­ti e le poli­ti­che che valo­riz­za­no il lavo­ro di qua­li­tà, che svi­lup­pa­no insie­me tec­no­lo­gia, orga­niz­za­zio­ne, lavo­ro, che si dan­no e rea­liz­zi­no insie­me obiet­ti­vi eco­no­mi­ci e sociali.

Il futu­ro ha un cuo­re antico.


[1] Una pri­ma ver­sio­ne di que­sto arti­co­lo  è sta­to pub­bli­ca­ta  come pre­fa­zio­ne al libro di Maria Lau­ra Erco­la­ni Pao­lo Vol­po­ni. Le sfi­de del 900, Fran­co Ange­li. Su que­sta trac­cia ho svol­to una rela­zio­ne alla Cele­bra­zio­ne per il cen­te­na­rio del­la nasci­ta cura­ta dal l’istituto Com­pren­si­vo Pao­lo Vol­po­ni, in Uni­ver­si­tà Car­lo Bò il 12 aprile,

[2] Fede­ri­co Bute­ra, Pro­fes­so­re Eme­ri­to di Scien­ze dell’Organizzazione, Uni­ver­si­tà di Mila­no “Bicoc­ca” e pri­ma Roma “Sapien­za” . Pre­si­den­te di IRSO – Isti­tu­to di Ricer­ca Inter­ven­to sui Siste­mi Orga­niz­za­ti­vi. Diret­to­re di Stu­di Orga­niz­za­ti­vi. È sta­to diri­gen­te del­la Oli­vet­ti. Gli ulti­mi dei suoi 40 libri pub­bli­ca­ti sono. Dise­gna­re l’Italia. Pro­get­ti e poli­ti­che per orga­niz­za­zio­ni e lavo­ri di qua­li­tà, Egea e (con Gior­gio De Miche­lis), Intel­li­gen­za arti­fi­cia­le e lavo­ro, una rivo­lu­zio­ne gover­na­bi­le, Marsilio