Maggio 1985
ROMA Si sono svolti ieri a Roma, nella chiesa di Santa Maria in Campitelli i funerali di Roberto Olivetti, presidente della Fondazione Olivetti morto sabato a 57 anni. Alla cerimonia hanno assistito i ministri Spadolini, Visentini, Pandolfo ed inoltre Franco Reviglio, Nino Andreatta, Carlo de Benedetti con i più grandi dirigenti dell’industria di Ivrea e numerosi altri esponenti del mondo politico, industriali, finanziari e della cultura.
Dopo una sosta al Verano, la salma è stata trasportata a Porto d’Ercole dove è stato sepolto nella tomba di famiglia della moglie Elisa. A lei il presidente Pertini ha mandato questo messaggio: “Apprendo con dolore la notizia della immatura scomparsa di Roberto Olivetti del quale ricordo con rimpianto l’alto impegno civile, culturale e politico”
Roberto Olivetti se n’è andato con com’era vissuto negli ultimi tempi impedendo anche agli amici più cari di condividere una dolorosa agonia che solo la moglie e la figlia hanno potuto, con la loro presenza, alleviare Era nato a Torino il 18 marzo del 1928, figlio primogenito di Adriano, il grande imprcnditore che portò la casa di Ivrea a livelli mondiali e di cui Roberto raccolse la successione come amministratore delegato in diversi periodi da luglio del ’62 al maggio ’64 e dal febbraio del 67 a novembre, del ’71). Ebbe poi vari- incarichi come consigliere d‘amministrazione e, da ultimo, era presidente della Fondazione Olivetti
Ma a questo punto di suo nella società multinazionale era rimasto praticamente solo il nome, quel marchio di inventiva della intraprendenza, italiana conosciuto ogni e che Roberto portava con coerenza puritana aristocratica — discesa per filo diretto dall’innesto di due minorane elitarie, 1’ebraica e la valdese — ma anche con una sofferta consapevolezza di un sconfitta personale e di stirpe.
Eppure se oggi lo ricordiamo non solo come un amico tra i più dolci c intelligenti — che per questo non occorrerebbero le pagine dei giornali — proprio per il valore di quella; sconfitta Nella sua parabola; di “perdente,” si può cogliere Infatti, un momento cruciale della storia industriale italiana Il cui risvolto individuale permette, però, di affermare che oggi la Olivetti non sarebbe, quella che senza quelle intuizioni illuminanti che Roberto ebbe e delle quali condusse una battaglia solitaria, che in quegli anni pareva senza sbocco
Bisogna andare indietro agli albori del miracolo economico per capire cosa accadde A Roberto Olivetti, uscito dal la Bocconi e da Harvard, viene affidata non ancora trentenne alla metà degli Anni 50, la guida di una nascente direzione elettronica che il management aziendale tranne Adriano, giudicava una divertente stravaganza. I profitti, la forza, il prestigio internazionale dell’azienda infatti, sono infatti tutti incentrati sulla meccanica: La Divisumma che dava un fatturato, cinque volte il costo, di produzione, sulle macchine contabili, sulle macchine per scrivere.
L’elettronica è considerata un costoso giocattolo futuribile.
Ma Roberto ha capito non è così sotto la spinta di Enrico Fermi organizza il primo gruppo di ricerca elettronica presso il centro di Calcolo del Cnr a Pisa
Qui raccoglie attorno ad un ingegnere cinese nato a Roma Mario Tchou — la cui promettente carriera spezzata di lì a poco da un incidente d’auto — una vera e propria legione straniera di specialisti di memorie magnetiche, di transistor, di componentistica elettronica
Da questa equipe scaturiranno i primi grandi calcolatori della seria Elea presentati sul mercato agli inizi degli ~ Anni 60, contemporaneamente al primo grande computer della IBM i giapponesi arriveranno solo più di dieci anni dopo e l’Italia, i, quel momento , ha ancora la possibilità di non restare tagliata fuori dal gap tecnologico.
Roberto capisce per altro la necessità di altri apporti c con la Tclectra e l’americana Fairchild, all’avanguardia nella componistica elettronica dà vita alla Sgs (Società generale semiconduttori) di cui assume la presidenza.
Da Ivrea esce frattanto il primo mini computer del mondo il Programma 101 presentato gli Usa nel ’64 e per due anni solo sul mercato interazionale, mentre 1’eletronica entra nelle macchine utensili a controllo numerico. Sempre in quella feconda stagione vengono avviati i prodotti di sistema di scrittura c i sistemi contabili elettronici alla base delle odierne fortune della Olivetti, che ha potuto così lasciarsi alle spalle la tramontata e obsoleta era meccanica senza essere travolta col passaggio
Ma questo, allora, non fu compreso e il disegno di avanguardia di Roberto venne punito. Per portarlo avanti sarebbe occorso, infatti, un grande afflusso di capitali, un ricorso al mercato borsistico e creditizio anche a costo di ridurre il peso della vecchia proprietà, un talento di finanziere che egli non aveva e che del remo neanche Adriano, da poco scomparso, gli aveva trasmesso. Di contro, e Roberto lo confesserà amaramente molto tempo dopo, da Adriano gli veniva la morale inversa: diffidare delle banche, non indebitarsi, far tutto con i mezzi propri, un insegnamento etico rispettabile, quanto superato dalle esigenze di una grande impresa- Cosi, al momento del salto
1’azicnda si trovò all’avanguardia nella produzione ma con una grave crisi di liquidità: la colpa venne gettata sul sogno elettronico e il gruppo d’intervento bancario industriale che salvò finanziariamente la società assunse il controllo, pose come condizione la vendita della divisione elettronica alla General Electris americana.
Roberto Olivetti tentò, comunque un’ ultima carta, che dimostra ancora la sua lungimiranza: egli fece in extremis il giro d’Europa proponendo alla Siemens, alla Bull, alla Philips, alla Ict di unirsi, per fondare una grande società europea, la Elettronica Europea, capace di raccogliere capitali, assicurarsi mercato e fronteggiare gli americani, Ma la miopia di francesi, inglesi, tedeschi e olandesi non fu sormontabile, con conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti: l’appuntamento , con la ]a grande elettronica, che pure era stato visto in tempo c affrontato venne disdetto c da allora, per l’Italia c per l’Europa sì è aperto ala gap mai più colmato
Fino al 1971 Roberto Olivetti seguitò, tuttavia a profondere ancora il suo lavoro a Ivrea lasciando la Propria impronta su quello che aveva potuto i piccoli sistemi elettronici, i terminali, le macchine a controllo numerico. Poi il suo impegno diretto divenne sempre pio marginale, si dedicò a altre attività assicurò tra l’altro la creazione dell’editrice Adelphi). Tentò come direttore generale assieme a Giorgio Ruffolo, che ne era il presidente, di imprimerci alla Fime (la Finanziaria pubblica meridionale un marchio di serietà, efficienza e correttezza che mal si apponevano ad uno strumento che la classe politica preferiva usare per operazioni clientelari e disinvolte. E indie da qui se ne dovette andare.
Ma tutto questo senza acrimonia né amare pretese: solo certo understatmnent che serviva a nascondere quel filo di malinconia per un impegno tarpato c una immeritata sconfitta. Che, però, non fu solo la sua.
Mario Pirani