Stavo passeggiando in via Jervis ad Ivrea, una Domenica pomeriggio, quando ad un tratto ricordi e nostalgie riaffiorarono in me, facendomi avvicinare incuriosita al civico 28. Un edificio di grande architettura progettato da Figini e Pollini e realizzato nel 1958. Ospitava i Servizi Sanitari Olivetti di fabbrica nel quale aveva sede l’infermeria ove ci si occupava della salute dei dipendenti Olivetti. Mi avvicinai per curiosare qua’ e là intorno all’edificio ora dismesso ed in vendita. Facendomi strada, amareggiata tra i calcinacci e i vetri rotti mi inoltrai sul retro, quando una voce da lontano mi fece sobbalzare: “Signora! Faccia attenzione e’ pericoloso!” Era un sorvegliante che vedendomi da lontano, mi metteva prudentemente in guardia dai probabili crolli e cedimenti della struttura, lasciata evidentemente, andare in rovina.
“ Si… risposi, do’ solo un’occhiata, sa, io qui’ ci lavoravo!“
-Già, io qui’ ci ho lavorato…- ripensai quasi incredula con un velo di tristezza. Sbirciai dalle vetrate sporche quasi opache; intravvedevo cavi di ogni genere pendere sfilacciati dai soffitti cadenti, muri infranti e colonne verdi scheggiate. I finestroni semi aperti mi fecero trasalire rabbia e desolazione. Era come se ormai non importasse più a nessuno quella parte del sogno che era stato, del quale avevo fatto parte anch’io, il sogno di un grandissimo imprenditore per il quale ho avuto l’onore di lavorare! D’un tratto rividi camici bianchi, sentii passi veloci nei corridoi, riconobbi le voci ed i ricordi presero vita.
Era il 1° gennaio 1985 quando entrai a lavorare presso i Servizi Sanitari Olivetti, in qualità di infermiera professionale. Avevo esperienza lavorativa già di alcuni anni anche con mansione di responsabile di reparto. Come figlia di un dipendente Olivetti, conoscevo ed avevo ben chiaro il concetto dell’Ingegnere Adriano ed ero abbastanza al corrente di quale fosse l’organizzazione, per cui compiaciuta di poterne prendere parte. Rividi una bambina per mano alla mamma entrare, ero io, quando mi portavano in ambulatorio dentistico per mettere l’apparecchio ai denti. Sentii per un attimo quell’odore di pasta per le impronte che mi procurava tanta nausea. Ricordai che nonostante fossi piccola riuscivo a percepire la sensazione di qualcosa di infinitamente grande, di maestoso, lussuoso e quella gioia e privilegio di potervi accedere, era l’orgoglio e la fortuna di poter aver diritto alle varie prestazioni e cure che la fabbrica offriva ai suoi dipendenti e ai famigliari; cosa a quei tempi rara e non alla portata di tutti. Percepii gli effluvi dei medicinali e ricordai l’ambulatorio pediatrico con le sue seggioline in legno e paglia verniciate di nero. Con gli occhi di bambina rammentai l’infermiera e la dottoressa, mai avrei pensato che a distanza di qualche anno, avrei lavorato anch’io con un camice bianco proprio lì.
Pensai agli asili, al nido, dove venivano accuditi i figli delle lavoratrici madri. Quanto mi piacevano e che tenerezza quei cestoni con le ruote con dentro i bimbi coi grembiulini a quadretti color pastello, spinti per le vie d’Ivrea dalle maestre nelle ore della passeggiata. Idea grandiosa quei cestoni! C’erano poi le colonie ed i campeggi dislocati ai monti e al mare, alle quali partecipai sia da bambina che da adulta come infermiera.
Queste erano centri di vacanza destinati ai figli dei dipendenti, dai turni dei più piccini con le loro mamme, ai più grandicelli da soli. Belli!! Bimbi e bimbe in fila per due uscivano in passeggiata dandosi la manina. Me li ricordo ancora, camicette scozzesi e calzoncini corti, con un berrettino bianco in testa ed un maglioncino blu annodato a vita. Ritornando col pensiero in infermeria, pensai alle colleghe ed ai nostri medici, eravamo una grande famiglia, una vera equipe, un personale qualificato, competente al servizio e alle cure dei dipendenti. C’era l’infermeria centrale, questa d’Ivrea e in ogni sede, un pronto soccorso per ogni capannone dell’azienda.
Le infermerie centrali erano tutte provviste di ambulatori dentistici nei quali si prestavano cure dentali all’avanguardia. La fisioterapia, con una marea di macchinari, quali Radar terapia, Marconi, forni, raggi UV. E IR. , Aerosol e terapie termali come acque di Tabiano e di Sirmione. Era attivo un laboratorio analisi, con i suoi tecnici, una sala prelievi, la radiologia, la pediatria, l’otorinolaringoiatria con le sue cabine silenti per il controllo dell’udito dei lavoratori di reparti rumorosi, per eseguire loro le audiometrie e rilevare se vi fossero danni acustici e, eventualmente per prevenirli.
L’ortopedia, l’oculistica, la dermatologia, la neuropsichiatria, la sala iniezioni, la cardiologia e una degenza con i letti. La medicina del lavoro con il suo medico competente ed infermiera, si occupavano dei controlli di legge dei lavoratori che erano accompagnati da una cartella clinica su cui il medico refertava ogni cosa riguardante la loro salute, ogni visita ogni esame, ogni controllo periodico e codesta passava poi in un altro archivio al momento della pensione continuando a beneficiare dell’assistenza e delle cure.
Si facevano poi i controlli sanitari ed esami al personale delle mense, asili, colonie e si eseguivano le visite di assunzione per le idoneità lavorative. Praticavamo le vaccinazioni antitetaniche contro il rischio del Tetano, da probabile causa di ferimento durante le ore di lavoro. La terapia intramuscolare per chi ne avesse necessità e le medicazioni. I pronto soccorso erano provvisti di defibrillatori, avevano ambulanze ed ogni presidio centrale, pronte per le emergenze di primo soccorso da noi e per il trasferimento d’urgenza nei casi più gravi, nei quali il medico ritenesse opportuno il trasferimento in ospedale.
Tutte noi eravamo in grado di lavorare in qualsiasi specialità, così da poter sostituire la collega addetta all’occorrenza.
In sala di cardiologia, oltre all’apparecchio di spirometria per valutare la capacità respiratoria del paziente e le eventuali patologie polmonari, vi era l’elettrocardiogramma e pure l’ ECG via cavo. L’esame ECG poteva essere eseguito in qualsiasi nostra sede centrale, da noi infermiere ed in caso non vi fosse un medico presente al momento, per poter valutare l’esame, questo veniva trasmesso da noi, via cavo allo studio di cardiologia dell’infermeria centrale d’Ivrea ove presidiava il cardiologo.
L’ingegnere aveva pensato e studiato tutto nei minimi particolari affinché il servizio fosse efficiente per tutti i lavoratori della sua fabbrica e delle loro famiglie. Tutto era progettato perché l’assistenza socio sanitaria fosse il fiore all’occhiello. Pensai a quanta fortuna e con grande orgoglio svolgevo la mia professione, prendendo parte di un’equipe così dotata e, come da un sogno mi ripresi scoprendomi lì, sola in quel silenzio in quella fine, le voci erano sparite e pure i miei animati ricordi.
Tra i calcinacci, i vetri rotti e la tristezza a malincuore mi allontanai.
Ci sarà mai un altro ingegnere Adriano, tra tutti questi giovani? Ci sarà mai qualcuno capace di un sogno così grande? Non ne sono sicura.
Vorrei che tutti i ragazzi potessero godere dei racconti dei loro genitori o nonni, ex dipendenti della Olivetti, potendo trarne insegnamento e magari slancio per poter fare proprie alcune ideologie. Teorie di chi ha saputo creare una fabbrica a misura di dipendente, con l’innovativa dottrina che la qualità della vita di un lavoratore favorisse una maggior qualità produttiva, nonché crescita stessa dell’azienda in termini di fatturato e di affermazione a livello mondiale.
Questo e ancora molto, gelosamente serbo nel mio cuore
Grazie Olivetti
Infermiera Professionale
Ester Ferlito
dal libro “Testimonianze di un sogno”