L’esperienza Olivettiana e l’industrializzazione casertana degli anni settanta.
Risale al 1955 l’inaugurazione dello stabilimento Olivetti di Pozzuoli, un evento eccezionale per l’epoca, infatti si inseriva nella triste realtà economica e sociale del secondo dopoguerra del sud una fabbrica guidata con sistemi rivoluzionari e che era il fiore all’occhiello della nazione per l’affidabilità dei prodotti, per il design e per le forte spinta innovativa dato al sistema produttivo.
Olivetti Marcianise inizia l’attività nel 1969 quando alle spalle c’erano tre lustri di esperienza puteolana. Si incominciò allargando la scuola di formazione Ciapi il centro interaziendale addestramento professionale per l’industria di San Nicola La strada e nella primavera del 1970 per uscirono i primi semilavorati, poi la produzione fu spostata nei capannoni realizzati nella zona Asi nelle vicinanze del casello autostradale di Caserta sud. Questo stabilimento non ebbe la sua cerimonia di inaugurazione.
Già il modello voluto da Adriano Olivetti nelle sue aziende era al tramonto e si sentiva pesantemente la presenza dello Stato che veniva in soccorso di un gruppo compromesso e che mostrava affanni sui mercati finanziari internazionali. Marcianise fu frutto non di una necessità di espansione di prodotti, ma si rivelò l’occasione per assecondare una mutata politica nazionale tendente a rovesciare i canoni di sviluppo presenti allora, concentrati solo al nord e che creavano emigrazione interna, difficoltà di convivenza e sovraffollamento nel settentrione.
I contributi elargiti dalla cassa del mezzogiorno per la costruzione dello stabilimento avevano non solo scopo di costruire una nuova realtà industriale, la cui funzione per il completamento dei nuovi prodotti non era chiara, ma anche di sollevare l’indebitamento di Carlo di Carlo de Benedetti verso le banche e dare respiro ad una ricerca che stava diventando asfittica e che raramente dava risultati eclatanti e redditizi sul piano pratico.
Erano tramontati i successi delle macchine di calcolo e di quelle da scrivere che avevano visto nella Summa prima venti, la Divisumma 24, nella Olivetti Lettera 22 e 44 la fortuna ed il sostentamento della politica sociale di Adriano Olivetti. A peggiorare le cose fu la dismissione della comparto elettronico che in Olivetti era all’avanguardia, voluta da Roberto Olivetti e che dovette cedere alle insistenze di Fiat e Mediobanca che volevano patteggiare la meccanica con gli americani.
Marcianise dunque nasce vecchia e precaria ma non per questo viene meno il forte impatto sul cambiamento della società in cui si trovava ad operare. L’occupazione di un centinaio di nuovi impiegati e oltre novecento operai contribuì al miglioramento ed al cambiamento di status di altrettante famiglie campane e favorire per alcune il loro ricongiungimento con il rientro degli emigrati dal Belgio e dalla Germania.
Già dal suo nascere lo stabilimento di Marcianise ebbe una serie di difficoltà, non tanto per la qualità delle maestranze, ma per quelle che la stessa Olivetti andava incontrando sul piano nazionale ed internazionale. Mentre preagonizzava la scrittura meccanica alcune operazioni azzardate come l’acquisto delle Underwood americana avvenuto qualche anno prima e l’Antares di Crema davano all’Olivetti una capacità produttiva molto più alta di quello che il mercato assorbiva e di conseguenza alti costi fissi ed una manodopera che non si riusciva a saturare. Ne tanto meno si rendeva efficaci ed economicamente compatibile la partecipazione precaria nella francese Bull per quanto riguardava l’elaborazione del software.
Erano falliti gli accordi internazionali stipulati nel 1963 durante la prima crisi economica ed in piena guerra fredda. Non fu mai costruito a Stalingrado per i Russi uno stabilimento di macchine da scrivere.
Pozzuoli e Marcianise ben presto dovettero fare i conti con la cassa integrazione e con gli scarsi ordini che arrivano dalla sede madre Ivrea da cui dipendevano le sorti delle fabbriche coloniali meridionali.
Con l’avvento di Carlo De Benedetti nell’azienda rimane solo l’assistenzialismo di stato messa a punto dai governi dell’epoca.
Cade il principio tanto caro ad Adriano Olivetti che “il fine dell’azienda era il benessere dei lavoratori” ed incomincia l’epoca del compromesso con il sindacato e la corsa alla ricerca dei contributi governativi.
L’Olivetti non aveva più un imprenditore alla sua guida ma un finanziere e gli stabilimenti diventarono oggetto di affare e merce di scambio con il governo per avviare speculazioni borsistiche.
Con questa logica ed al fine di poter mantenere alcuni posti di lavoro al sud, con un accordo tra Cgil ed azienda si decise di trasferire da San Bernardo di Ivrea a Marcianise la Olivetti controllo Numerico. Una fabbrica che era la continuazione dell’Omo Officine Macchine Olivetti che prometteva uno sviluppo innovativo dei beni strumentali, ma che doveva fare i conti con la concorrenza giapponese ed con un software realizzato ad hoc che faceva diventare non competitivo il prodotto.
Per sopperire alla difficoltà e per favorire il trasferimento con il governo italiano si arrivò ad un accordo di programma di circa 1250 miliardi dei lire. Lo scopo era quello di trasformare lo stabilimento Marcianisano in impianto più adatto alla costruzione di macchine pesanti. Un’operazione che comportò una radicale trasformazione degli impianti esistenti con la costruzione di altri 15000 mq di area coperta ed una forte riqualificazione delle maestranze.
Mancava però in loco una ricerca efficace e capace di competere sui mercati mondali che, per campanilismo, continuava a rimanere ad Ivrea. Ne tanto meno contribuivano allo scopo le assunzioni clientelari di dirigenti legati a questa o a quelle corrente politica. Risultato fu che nel 1984 già si parlava di abbandono della OCN e cassa integrazione che coinvolse oltre 500 persone, quasi il 50% delle maestranze.
Successivamente l’Olivetti uscirà della scena dell’informatica e lo stabilimento di Pozzuoli, nella logica dello spezzatino verrà suddivisa in molte altre attività. Anche Marcianise terminerà la sua storia con la vendita a terzi e con l’uscita della Olivetti dalla scena internazionale. Sopravviverà nel settore delle telecomunicazione, ma con la fuoriuscita di Carlo De Benedetti l’avvento del ragioniere Roberto Colannino e l’Opa fatta alla Telecom e la successiva cessione alla Telecom tutto quello che era rimasto delle vecchia Olivetti fini sotto la Pirelli. Il nome Olivetti scomparirà anche dai mercati finanziari.
La deindustrializzazione di Terra di lavoro era in atto. Le grandi aziende non investivano più e l’economia si avviava al declino.
Scioperi e lotte sindacali servivano a poco, ne tanto meno la classe politica locale era in grado, pur avendo qualche potere, di imporre trasformazioni e cambiamenti tali da salvaguardare il manifatturiero.
Con l’avvento della globalizzazione fu la fine. Si chiudeva definitivamente il mito della Brianza del Sud.