Valori della politica in Adriano Olivetti

di Davi­de Caded­du 

Davi­de Cadeddu

Nei nume­ro­si rife­ri­men­ti al pen­sie­ro poli­ti­co di Adria­no Oli­vet­ti, appar­si su arti­co­li gior­na­li­sti­ci o su sag­gi sto­rio­gra­fi­ci, il ter­mi­ne costan­te­men­te pre­sen­te, per con­no­tar­ne le carat­te­ri­sti­che, è quel­lo di ‘uto­pia’. E da que­sta paro­la o, meglio, dal­la con­si­de­ra­zio­ne che può esse­re for­mu­la­ta sull’abuso di que­sta paro­la biso­gna par­ti­re per lumeg­gia­re il pen­sie­ro poli­ti­co olivettiano.
In effet­ti, il sostan­ti­vo ‘uto­pia’, che andreb­be usa­to «cum gra­no salis, per­ché sot­tin­ten­de giu­di­zi di valo­re tutt’altro che uni­vo­ci», com­pa­re spes­so «qua­si per evi­tar­ne di discu­te­re l’assunto di fon­do e pas­sar sot­to silen­zio tut­ta la serie del­le sue pro­po­ste» com­pa­re, usa­to in modo vago e pri­vo quin­di di fun­zio­ne descrit­ti­va, con un valo­re mera­men­te pre­scrit­ti­vo, cioè sur­ret­ti­zia­men­te ideo­lo­gi­co. Tal­vol­ta tale gene­ri­ci­tà vie­ne meno, ma le moti­va­zio­ni addot­te a giu­sti­fi­ca­re la tac­cia di uto­pi­smo rive­la­no la loro natu­ra schiet­ta­men­te ideo­lo­gi­ca, soven­te lega­ta all’ideologia mar­xi­sta. Dun­que, pro­prio per­ché la sto­rio­gra­fia sul pen­sie­ro poli­ti­co di Oli­vet­ti sem­bra risen­ti­re oltre­mo­do di sug­ge­stio­ni di matri­ce ‘empi­ri­ca’, appa­re neces­sa­rio affron­ta­re di pro­po­si­to il nodo gor­dia­no del suo pre­sun­to uto­pi­smo, al fine di con­sta­ta­re se sia pos­si­bi­le, o meno, tagliar­lo con un cor­ret­to approc­cio metodologico.
A pre­scin­de­re dall’inutile eser­ci­zio intel­let­tua­le di avven­tu­rar­si nell’infinita gam­ma tipo­lo­gi­ca del­le uto­pie, per discet­ta­re se vi sia e qua­le sia quel­la che meglio si atta­glia al pro­get­to poli­ti­co oli­vet­tia­no, è rile­van­te, per i nostri fini, con­si­de­ra­re solo l’accezione più dif­fu­sa di uto­pi­smo, nel suo super­fi­cia­le signi­fi­ca­to: «il ter­mi­ne “uto­pia”, che desi­gna ormai un inte­ro filo­ne del­la let­te­ra­tu­ra poli­ti­ca, […] è anche entra­to nel lin­guag­gio cor­ren­te per defi­ni­re un pro­get­to impos­si­bi­le, un sogno ad occhi aper­ti; e “uto­pi­sta” si dice di chi vagheg­gia pro­gram­mi astrat­ti, non ha i pie­di sul­la ter­ra, difet­ta di sen­so pra­ti­co e di con­cre­tez­za ». Sareb­be inve­ce inu­ti­le ser­vir­si del­le argo­men­ta­zio­ni, dif­fe­ren­ti tra loro, di Fir­po, di Man­n­heim, di Bloch, dei filo­so­fi del­la Scuo­la di Fran­co­for­te o di altri4, poi­ché, come ha osser­va­to Gio­van­ni Sar­to­ri, «ucci­sa la paro­la – uto­pia per dire impos­si­bi­li­tà – le impos­si­bi­li­tà riman­go­no». Men­tre l’intendimento del pre­sen­te stu­dio è riflet­te­re pro­prio sul­le ‘impos­si­bi­li­tà’ pre­sen­ti, se pre­sen­ti, nel pen­sie­ro poli­ti­co di Oli­vet­ti, con­si­de­ran­do in che modo l’ideale si inne­sti sul rea­le, il dover esse­re inte­ra­gi­sca con l’essere, e com­pren­den­do, dun­que, se l’idealità oli­vet­tia­na sia pri­va «di ogni effet­ti­va con­si­sten­za», poi­ché avul­sa da un’adeguata ana­li­si del­la real­tà sto­ri­ca, o se sia inve­ce «un idea­li­smo che non per­de di mira il rea­le, men­tre ten­ta di supe­rar­lo sul­la base d’una visio­ne glo­ba­le del possibile».
Per appro­da­re a tale discer­ni­men­to è d’uopo, in pri­mo luo­go, rea­liz­za­re un lavo­ro di con­te­stua­liz­za­zio­ne sto­ri­ca del perio­do in cui si con­cre­ta­ro­no in defi­ni­ti isti­tu­ti giu­ri­di­ci, con la ste­su­ra e la pub­bli­ca­zio­ne del­la sua ope­ra prin­ci­pa­le, le rifles­sio­ni poli­ti­che di Oli­vet­ti. Fu, in effet­ti, a par­ti­re dal­la divul­ga­zio­ne del­le idee con­te­nu­te in L’ordine poli­ti­co del­le Comu­ni­tà, pub­bli­ca­to in Sviz­ze­ra nel set­tem­be del 1945, che l’aggettivo ‘uto­pi­sta’ ini­ziò a esse­re rivol­to all’autore, il qua­le, negli anni pre­ce­den­ti, non ave­va avu­to modo di espri­me­re espli­ci­ta­men­te e compiutamente,
sia a cau­sa dell’impegno nell’industria pater­na, sia per la par­ti­co­la­re situa­zio­ne poli­ti­ca ita­lia­na, le pro­prie con­vin­zio­ni poli­ti­che.

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