Se si tien conto di tutti i tipi di strumenti matematici inventati, fin dalle tavole aritmetiche sumere (ca. 2500 a.C.) e dagli abachi cinesi e greci (V – IV secolo a.C.) si può dedurre che dispositivi per alleviare la noiosa fatica del calcolo numerico apparvero molto presto nella storia delle civiltà [Campbell-Kelly 2003, Needham 1959, Schärlig 2001]. Le tavole delle moltiplicazioni e gli abachi erano più che sufficienti per il limitato fabbisogno di calcolo di mercanti, contabili e amministratori, almeno fino al XVII secolo, quando la rivoluzione scientifica e la crescita delle burocrazie governative richiesero calcoli più complessi e una maggior precisione, tanto da indurre il filosofo e matematico Gottfried Leibniz a esclamare “è indegno che uomini eccellenti debbano sprecare il loro tempo nel calcolo, quando un qualunque contadino potrebbe farlo altrettanto bene con l’aiuto di una macchina” e a inventare un calcolatore meccanico nel 1672, il terzo della storia dopo quelli di Schickard (1623) e di Pascal (1645). Nei successivi due secoli, numerosi scienziati e semplici artigiani si dedicarono all’invenzione e alla costruzione di macchine per il calcolo aritmetico, trasformando lentamente questi congegni da ‘inutili giocattoli […] destinati al fallimento’ [Williams 1990] ‒ seppure ingegnosi ed esteticamente attraenti ‒ in oggetti utili, producibili in massa e venduti in gran numero. Fu l’avvento del capitalismo industriale alla fine del XIX secolo, che causò una ‘crisi del controllo’ [Beninger 1986] che a sua volta generò un mercato ricettivo per macchine calcolatrici veloci e precise, necessarie alla elaborazione di dati numerici e statistici. Infatti, nonostante la priorità del francese Thomas de Colmar che fu il primo a produrre industrialmente il suo Aritmometro, fu negli Stati Uniti che l’industria delle calcolatrici fiorì in pochi decenni, diventando un business lucroso e di successo [Williams 1997]. Nei due secoli (1650–1850) di ‘incubazione’ furono più di un centinaio i prototipi di calcolatrici meccaniche che furono proposti da un ugual numero di inventori in tutte le nazioni europee. Particolarmente prolifica furono la Francia e la Germania, seguite a distanza dall’Inghilterra [Campbell-Kelly 1989]. In questo panorama solo una manciata di inventori italiani è ricordata dalla storiografia, prevalentemente anglosassone, sembra quindi opportuno ravvivare il loro ricordo.