Di Giuseppe Silmo
Le Spille d’Oro, anni fa, hanno voluto che di fronte al monumento a Camillo Olivetti fosse posta questa targa, per informare il visitatore ignaro del significato di questo singolare monumento.
Monumento a Camillo Olivetti
Inaugurato il 29 settembre 1957, opera dello scultore Emilio Greco.
Formato da tre elementi
• La stele metallica che rappresenta i tasti e i cinematici della macchina per scrivere.
• Il medaglione con il volto di Camillo Olivetti.
• Una quinta d’acqua che sgorga dalla parete, elemento vivificante del monumento.
Il volto vivo di Camillo è stato ricavato, dallo scultore Emilio Greco, dal calco fatto all’ospedale di Biella, il 4 dicembre 1943, prima della tumulazione.
Non avevo mai parlato di questo per un profondo rispetto verso quel momento, che è per tutti tragico e profondamente intimo.
Purtroppo in quel momento non c’è nessun famigliare. Al momento dell’esecuzione del calco c’è tra altri mio padre, presente a seguito delle vicende che narro di seguito.
L’incarico viene dato a persone ritenute in grado di eseguire il calco, se non ché le cose prendono una piega non prevista, mio padre interviene con la sua manualità da attrezzista meccanico e recupera il calco, che può essere così terminato.
Storia minima, ma importante da tramandare per rispondere all’interrogativo che più volte mi è stato posto.
E ora racconto la storia di Camillo e mio padre che ha preceduto quel tragico giorno.
Camillo Olivetti all’inizio del 1932 è ospite a Sordevolo della grande casa dei Vercellone che domina la frazione di Rubiola.
Sordevolo, località del Biellese nell’alta valle dell’Elvo, è già famoso nel Seicento e nella prima metà del Settecento per l’industria della lana, i “panni fini”. Nel 1932 l’industria laniera non è più così preminente, la meccanica è diventata l’attività di molte delle fabbriche e fabbrichette del paese. I maggiorenti del luogo, diventati tali grazie alla manifattura delle lane, sono da sempre gli Ambrosetti e i Vercellone.
Sono le due del pomeriggio, Camillo dorme in una camera che si affaccia sul retro dell’edificio, quando, improvvisamente, il suo sonno è interrotto da un ritmico battere di un martello su un’incudine. Infastidito si alza chiede informazioni e gli indicano, come fonte del rumore, la casa del giardiniere, proprio sotto la sua finestra. Contrariato, ma anche incuriosito e, come sempre, rispettoso per chi lavora, vuole saperne di più su cosa avviene proprio sotto la sua finestra. Il giorno seguente va alla casa che gli è stata indicata e trova la madre del disturbatore, a cui chiede spiegazioni, viene così a sapere che il giovane, Mario, si stava costruendo una forgia per l’officina che ha intenzione di creare. Decisamente interessato a quell’avventura che ricorda i suoi trascorsi, prega la madre di mandargli il figlio, perché vuole conoscerlo.
Mario racconta che lui è un meccanico e che lavorava fino a pochi giorni prima presso una delle più grosse fabbriche meccaniche del paese, ma che ora è disoccupato. Camillo Olivetti vuole conoscere tutta la storia e viene così a sapere che il proprietario della fabbrica, uomo del fascismo locale, aveva chiesto al giovane di riparargli l’auto, fuori orario di lavoro, anche se il giovane normalmente lavorava sulle macchine utensili. Mario, che conosce i motori delle auto, aveva eseguito la riparazione e poi aveva fatto un breve giro di prova. E qui accade l’incidente che cambia la vita di mio padre e lo porta ad Ivrea.
La macchina è grossa come le auto degli anni Venti, con grossi paraurti, Mario imbocca il ponte sull’Elvo, vicinissimo alla fabbrica, ma dal lato opposto della strada un camion sbaglia la curva che lo immette sul ponte, sbanda paurosamente e occupa tutta la carreggiata, Mario si sposta sulla destra il più possibile, ma urta il paraurti contro la spalletta in pietra del ponte. Il danno è limitato al paraurti, ma il proprietario non vuole sentire ragioni. Il giovane Mario non è iscritto al partito fascista, ragione di più, o forse proprio l’occasione giusta, per licenziarlo. La cosa singolare è che il sindacato di base fascista dà ragione al giovane perché, l’incidente è avvenuto fuori orario e al di fuori delle sue qualifiche, ma questo non ferma il licenziamento.
Camillo Olivetti s’informa sui suoi progetti e avendo la conferma che vuole impiantare una piccola officina meccanica, gli dice: “Ma sa che lei ha un bel coraggio in questo periodo di crisi a mettere su un’attività, piuttosto vada ad Ivrea dal mio direttore tecnico il sig. Burzio e gli dica che la mando io”.
Il giovane Mario va ad Ivrea, poco tempo prima che il Burzio muoia. La prima marca assicurativa pagata dalla Olivetti a suo favore e del 14/2/1932 (LIBRETTO PERSONALE per le assicurazioni obbligatorie invalidità e vecchiaia e disoccupazione involontaria. Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali).
Mario viene cooptato poco dopo alla O.M.O (Officina Meccanica Olivetti) di Camillo.
Nel 1940 Mario è a capo del reparto attrezzaggio, seguendo così la tradizione di tanti altri capi che Camillo Olivetti aveva saputo valorizzare.
La storia con Camillo Olivetti non è, però, finita. L’Italia è occupata dalle truppe tedesche, gli ebrei sono braccati. L’ing. Camillo come lo chiamano le sue maestranze deve nascondersi, fa chiamare il Silmo (Mario) di Sordevolo e gli chiede se se la sente di trovargli un nascondiglio sicuro in quella zona. Il Silmo non ci pensa due volte, ha un cugino, Serafino, che è parroco di Pollone, in cui ha grande fiducia e di cui conosce la proverbiale discrezione, grazie al suo aiuto individua una casetta proprio sotto la Parrocchia di Pollone. Dalla casetta si vede la chiesa e il campanile che si ergono al di sopra di un muraglione di contenimento quasi a proteggerla. Una mattina la sorella del parroco, l’Elvira, vede Mario che accompagna un signore con una lunga barba, lo saluta, ma il Mario le fa un cenno come di lasciar andare, solo molti anni più tardi capirà il senso di quel cenno. In quella casetta l’ing. Camillo trascorre gli ultimi mesi finché non si ammala e deve essere trasportato all’ospedale di Biella dove muore il 4 dicembre 1943.
A questo punto non si può non citare ciò che scrive Libero Bigiaretti, scrittore e giornalista, chiamato da Adriano Olivetti a dirigere l’Ufficio Stampa dell’Azienda: “Il giorno in cui fu trasportato al cimitero pioveva; ma da Ivrea, dai borghi vicini, dai vari luoghi del Canavese si erano arrampicati su per la Serra, fino a Biella i suoi operai, i suoi fedeli. Erano arrivati con ogni mezzo, i più in bicicletta, con grave fatica e rischio. I tedeschi già davano la caccia ai partigiani, razziavano uomini, minacciavano intere popolazioni. Il piccolo cimitero israelitico di Biella poteva diventare un luogo di massacro; il recarvisi una sfida temeraria; ma esso si popolò, quel giorno, di uomini silenziosi, a capo scoperto, su cui volti la pioggia cancellava inutilmente le lacrime”.