Franco Ferrarotti ha scritto il libro Simone Weil, pellegrina dell’assoluto, Edizioni Messaggero di S. Antonio, Padova, 1996.
Quando ha scoperto il pensiero di Simone Weil?
Quando parlo di Simone Weil è un viaggio della nostalgia. Nel 1949 lessi un suo articolo, ne La Table Ronde, intitolato “Note sur la suppression général des partis politiques” dove invitava ad abolire i partiti politici. La Table Ronde era una rivista cattolica, ma il cattolicesimo francese era un cattolicesimo militante, di minoranza, in cui il dogma dell’infallibilità papale fu duramente criticato.
Io ero appena tornato da Parigi, avevo incontrato Cesare Pavese, Felice Balbo e Adriano Olivetti. Dissi ad Olivetti “qui c’è una pensatrice francese, si chiama Weil, un’ebrea, ed afferma le nostre idee”. Adriano Olivetti rimase molto colpito da questo articolo, io lo tradussi per la rivista Comunità, con una breve introduzione. Chiedemmo subito i diritti, per pubblicare nelle edizioni Comunità La condizione Operaia, L’inradicamento, Opposizione e Libertà. Ancora non conoscevo bene il pensiero di Simone Weil, ma mi rendevo conto della secchezza del ragionamento, del suo temperamento filosofico, (senza scandalizzare nessuno), di un piglio quasi maschile nel ragionare. Nessuna concessione al sentimentalismo o al moralismo. Chiede in tono giacobino la soppressione dei partiti politici perchè erano nati da uno spirito intollerante, rappresentavano la “pars pro toto”. Questo fu il mio primo incontro con Simone Weil, ma subito dopo, attraverso le edizioni Gallimard, fui molto colpito da due libri in particolare, innanzitutto la Fonte Greca e Sulla Scienza. Il libro che veniva incontro ai miei interessi di allora e che fu un libro de chevet era La Condition Ouvrière, chiarì ciò che avevo intuito: le riforme giuridiche come tali non cambiano necessariamente il vissuto quotidiano dell’operaio. Le vere riforme sono in primo luogo un fatto di coscienza e non solo una definizione giuridica, necessaria, ma di per sè insufficiente.
Riguardo al sentire, la Weil aveva una precisa idea sull’empatia, dov’è il confine, tra lo scrivere in modo così asciutto, sintetico senza eccedere nel sentimentalismo, tra il maschile e il femminile?
Questa è una domanda molto importante. Non so se sia possibile dare una risposta tranciante. Quello che posso dire è che in questo caso bisogna richiamare l’origine ebraica della Weil, non del ghetto, ma cosmopolitica. Fu importante l’ambiente familiare; il fratello era un grande matematico, il padre un medico. Inoltre pare che lei stessa si firmasse in alcune lettere alla famiglia “il vostro figlio”! Dunque, in primo luogo c’è una fonte esistenziale, l’esperienza familiare, in secondo luogo, c’è la formazione con il suo maestro Alain, il quale era uno dei pochi intellettuali francesi a tessere nei Propos un elogio sperticato di Auguste Comte e del positivismo, in un momento in cui, ancor oggi del resto, il positivismo non godeva di una buona stampa, molti lo criticavano per l’aridità, per la mancanza di affettività, di empatia. Invece Alain faceva notare come c’era una durezza nel cogliere il dato obiettivo, nell’osservare ciò che effettivamente avviene, nel vedere la realtà al di là del proprio sentire, che non esclude il sentire, ma impedisce la caduta nel soggettivismo idealistico. Per la Weil Alain fu una sorta di super ego; lui la chiamava la mia “marziana”; tutto questo contribuiva a fare di questa pensatrice un personaggio in anticipo sul proprio tempo. Non conosco alcun testo della Weil che si possa definire femminista. Direi che addirittura c’è in lei la tendenza a sottacere, a rinnegare una questione di diformismo sessuale. Questo sta a significare una persona per la quale il pensiero non ha sesso. Si può non essere d’accordo con alcune sue analisi, come la comparazione tra Impero Romano e nazismo, o l’idea che gli italiani non derivino dai Romani ma dai Greci; come anche le sue dure critiche contro la chiesa organizzata, nelle polemiche politico-sindacali, lei criticava gli staliniani e anche i trotzkisti, tutto questo mi sembra che deponga a favore di una pensatrice che va al di là dei confini del genere.